La creazione del Consilium Cardinalium Summo Pontifici, comunemente conosciuto come il “Consiglio dei cardinali”, rappresenta forse meglio di ogni altro atto il modello di governo scelto da Papa Francesco: centralizzato, personalistico e diffidente verso la struttura collegiale della Chiesa, così come delineata dal codice di diritto canonico. Una scelta che ha segnato una delle pagine più amare per la Segreteria di Stato, al tempo ancora guidata da Tarcisio Bertone, ma si tratta di una delle molte umiliazioni che ha subito in questi anni il cardinale Pietro Parolin.

Costituito il 28 settembre 2013 con uno dei tantissimi chirografi papali emanati in questi dodici anni, questo organismo ristretto veniva presentato come frutto delle Congregazioni Generali precedenti il conclave. In realtà, fu fin da subito chiaro che si trattava del braccio operativo di un Pontefice che voleva circondarsi di pochi fidati consiglieri, estromettendo il Collegio Cardinalizio nella sua interezza e marginalizzando il ruolo della Segreteria di Stato. Una mossa che, oltre a tradire la lettera e lo spirito del can. 349 del Codice di Diritto Canonico, sanciva la nascita di un vero e proprio Consiglio del re, più simile a una corte assolutista che non a un organismo ecclesiale sinodale. Fa specie che Francesco abbia scelto un gruppo ristretto, di persone che la pensavano come lui (o così lui credeva) e d’altro canto ha chiesto alla Chiesa Universale di agire in modo sinodale chiedendo ai vescovi di coinvolgere “todos, todos, todos” anche nelle più sciocche decisioni. 

Nel primo annuncio del 13 aprile 2013, diffuso dalla stessa Segreteria di Stato, si notava subito l’assenza del Segretario di Stato tra i membri del nuovo Consiglio. In quel momento la scelta suonò strana ma molti la ritennero “naturale” essendo ancora in carica Tarcisio Bertone. Anche Pietro Parolin, però, il quale fu nominato formalmente il 31 agosto 2013, venne incluso nel C8 soltanto nell’aprile 2014, e solo dopo forti pressioni, trasformando il C8 in C9. Una decisione che, sul piano simbolico e pratico, equivaleva a dire che il cuore diplomatico ed esecutivo della Santa Sede non era più ritenuto degno di partecipare direttamente al governo della Chiesa. Un affronto istituzionale. Bergoglio, del resto, ha sempre affrontato tutti gli aspetti della propria vita in questo modo. Se negli scatoloni bianchi erano presenti alcuni documenti che mettevano in evidenza le criticità della Segreteria di Stato, Francesco non scelse di cambiare il personale o risistemare la situazione. Lui agì di pancia, come di consueto, e in questi anni ha praticamente tolto qualsiasi possibilità alla Terza Loggia: dal portafoglio alle decisioni pratiche. 

Il chirografo papale del 28 settembre 2013 fu un manifesto programmatico: “Ritengo opportuno che tale gruppo […] sia istituito come un ‘Consiglio di Cardinali’ […] Esso sarà composto dalle medesime persone precedentemente indicate, le quali potranno essere interpellate, sia come Consiglio sia singolarmente, sulle questioni che di volta in volta riterrò degne di attenzione.” Parole che offrono una visione monarchica del papato, nella quale i cardinali diventano consiglieri a chiamata, non pastori vicini al Papa. Bergoglio ascoltava chi voleva, quando voleva e su ciò che decideva lui. Altro che collegialità. La conferma l’abbiamo avuta in questi anni nei diversi episodi nei quali alcuni cardinali hanno chiesto udienza, la quale storicamente è sempre stata concessa dal Papa in non più di 48h dalla richiesta, ma non hanno mai ricevuto risposta. 

Inutile nasconderlo: il Consiglio è sempre rimasto una creatura personale del Papa, una sua cabina di regia, immune da controllo, discussione vera o dinamiche assembleari. Le riunioni dei cardinali del Consiglio si sono susseguite nel corso degli anni in un clima di crescente alienazione del Collegio cardinalizio. I porporati, creati a ritmo sostenuto e provenienti da diocesi periferiche e tra loro sconosciuti, non hanno mai avuto occasione reale di formare una coscienza comune o di conoscersi reciprocamente.

Nei giorni precedenti il Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali del 2022, i porporati furono trattati come studenti chiamati a prendere appunti sui due temi imposti dal Papa: Praedicate Evangelium e il Giubileo 2025. Nessun confronto aperto, nessuna vera discussione. Solo lezioni frontali e – come definito da diversi di loro – l’umiliante ascolto delle “sciocchezze affermate da Gianfranco Ghirlanda”, il gesuita giurista fautore della costituzione apostolica Praedicate Evangelium, considerata da molti canonisti come un testo teologicamente opaco, pastoralmente disorientato e canonicamente inapplicabile.

In questi giorni, nelle Congregazioni generali, ai cardinali sono stati assegnati cartellini con i nomi: “Sembra una fiera dell’artigianato”, ironizzava uno di loro. E ha spiegato: “Del resto è inevitabile perché non ci conosciamo e quando parliamo con qualcuno almeno leggiamo il nome sul cartellino”. 

Un nuovo Papa dovrà necessariamente ricostruire dalle fondamenta la forma di governo della Chiesa. Non si può ignorare il chiaro dettato del canone 349 CJC: i cardinali “assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli […] nella cura quotidiana della Chiesa universale”. Questo non è accaduto in modo autentico durante il pontificato di Francesco. La stampa ha sempre osannato la scelta di "uomini provenienti dalle periferie" ma questo solo perchè potessero entrare in Conclave oggi? Qualcuno, ingenuamente, forse si aspettava che questi porporati potessero essere d'aiuto al Papa per consultarli al fine di adottare decisioni più ponderate, con l'ausilio di culture differenti. Fiducia Supplicans è stato il documento che più di tutti ha fatto intendere quanto questo non sia mai accaduto. Il Collegio Cardinalizio, è bene ricordarlo, non è un parlamento che elegge il Papa. Ha funzioni e compiti ben più delicati. 

L'autorità dei cardinali in questi dodici anni è stata svuotata, e ogni momento di incontro è stato ridotto a cerimonia o imposizione. Non sorprende che lo stesso Francesco, ogni volta che veniva a sapere di cene o incontri tra cardinali, lanciasse pubbliche invettive, accusandoli velatamente di volerlo “morto”. Una reazione che tradisce il timore di una vera sinodalità. Eppure, sarebbe stato meglio – molto meglio – se i cardinali avessero avuto modo di incontrarsi più spesso, confrontarsi, dibattere. Perché oggi, semplicemente, non si conoscono. Non sanno neppure i nomi gli uni degli altri. E questa non è Chiesa, è disgregazione. Il motto che ha guidato questi dodici anni è stato: “Divide et impera”. 

Il prossimo conclave deve tenerne conto. E il prossimo Papa dovrà avere il coraggio non solo di azzerare Praedicate Evangelium, ma anche di ridare dignità all’intero Collegio cardinalizio. Il tempo dei consigli del re deve finire.


p.A.S.
Silere non possum