In queste ore, mentre il mondo attende il prossimo conclave, l’attenzione di molti media – dai social network ai telegiornali – si concentra non sul mistero spirituale che accompagna l’elezione del Papa, ma sulla narrazione politica dell’evento. Commentatori, giornalai, influencer e anche molti cattolici parlano del futuro Pontefice come se si trattasse di un premier da eleggere: si disegnano strategie, si contano le “correnti”, si evocano scenari geopolitici. Di spiritualità, silenzio, discernimento? Quasi nulla. È paradossale che proprio coloro che per anni hanno sostenuto l’idea di una Chiesa finalmente libera dalle lotte di potere e dai giochi di palazzo, oggi riducano il conclave a una gara tra “progressisti” e “tradizionalisti”, tra “riformatori” e “restauratori”, come se si trattasse dell’assemblea di un partito. Non era questo il sogno di una Chiesa più evangelica, più semplice, più simile al Vangelo?

Eppure la verità ci sta davanti agli occhi, scolpita nel diritto canonico e nella storia: il Papa può essere scelto tra tutti i battezzati maschi, celibi. Non deve per forza essere cardinale, né vescovo. E se davvero si volesse un Papa umile, libero da giochi di potere, profondo uomo di preghiera e di ascolto, allora non si dovrebbe forse alzare lo sguardo oltre il recinto delle porpore?

La storia della Chiesa ci offre esempi splendidi. San Gregorio Magno, monaco benedettino, dalla sua cella portò il monachesimo nel cuore del governo della Chiesa, introducendo riforme e promuovendo una visione pastorale che ha segnato secoli. San Celestino V, eremita abruzzese, fu chiamato da una Chiesa in crisi e accettò con tremore il peso del pontificato. La sua rinuncia – nonostante venga spesso banalizzata – fu l’atto estremo di chi riconobbe i propri limiti e rifiutò i compromessi. Questi uomini non avevano strategie, uffici stampa o follower. Avevano silenzio, preghiera, ascesi, Vangelo vissuto. E proprio per questo, quando furono chiamati, lasciarono un segno profondo, anche nei loro limiti umani. Scrive Santa Caterina da Siena, che non temeva di parlare con franchezza ai Papi del suo tempo: «Fatevi uomini virili e non timorosi; non siate pecore, ma pastori ardenti, affamati della gloria di Dio e della salvezza delle anime.» E ancora, rivolgendosi con coraggio al Papa: «Spogliatevi del desiderio del potere e rivestitevi di Cristo crocifisso.»

Parole che suonano oggi come un monito e un criterio di discernimento. La Chiesa non ha bisogno di un manager spirituale, ma di un uomo crocifisso con Cristo. Un pastore che sappia camminare davanti, in mezzo e dietro il gregge, come ha ricordato spesso Francesco, ma sempre con lo sguardo fisso a Dio. San Benedetto, nel suo silenzio fatto di lavoro e preghiera, ci ha insegnato che “nihil amori Christi praeponere” – non anteporre nulla all’amore di Cristo. È da questa radicalità evangelica che può nascere una vera riforma. “Incomincia a essere ciò che vuoi che gli altri siano,”scriveva ancora Caterina, indicando la strada della testimonianza, non della strategia. Forse è il tempo di riscoprire questa logica capovolta. Forse la Chiesa, ferita, disorientata, ha bisogno non di un abile gestore o di un comunicatore, ma di un uomo di Dio. Uno che non ha bisogno di postare ogni gesto sui social, che non confonde la trasparenza con l’esibizionismo. Qualcuno che riporti il cuore della Chiesa alla preghiera, alla liturgia, alla verità del silenzio. Uno che preferisca l’Eucarestia alle telecamere, la contemplazione alla conferenza stampa.

Il conclave, per sua natura, è un evento spirituale. Lo si dimentica troppo facilmente. È il tempo del Cenacolo, del fuoco dello Spirito, non dei sondaggi e dei pronostici. Se davvero vogliamo un Papa “secondo il cuore di Dio”, dobbiamo essere pronti ad accogliere chi viene non da Roma, ma da Nazareth, non dai corridoi, ma dal deserto. E forse, proprio in questo modo, il prossimo Papa saprà ancora una volta ricondurre la barca di Pietro al largo, dove la voce del Maestro si fa sentire forte e chiara: «Taci davanti al Signore, Dio, perché il giorno del Signore è vicino» (Sofonia 1,7).

f.L.A.
Silere non possum