Milano/Città del Vaticano – Mentre nel movimento di Comunione e Liberazione ci si interroga sul perché, quest’anno, per la prima volta non sia stata pubblicata a ridosso del Santo Natale la tradizionale intervista del presidente Davide Prosperi sul Corriere della Sera, non tutti sanno che lo stesso Prosperi ha convocato in via straordinaria, e "di tutta fretta", la Diaconia Centrale della Fraternità di Comunione e Liberazione per giovedì 8 gennaio 2026, alle ore 17, presso la sede di via De Notaris e in videocollegamento.
L’ordine del giorno mette al centro un passaggio determinante della nuova architettura di governo: la votazione dei Referenti territoriali “Italia e mondo”, insieme alla proposta dei referenti di ambiente e alle comunicazioni del Presidente. La convocazione richiama l’art. 8.2 dello Statuto e si presenta come un atto di governo pienamente coerente con il quadro normativo entrato in vigore dopo l’approvazione del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (8 settembre 2025).
A fare da cornice operativa è anche la lettera di accompagnamento del Segretario Generale Marco Melato, che prospetta: dialogo interno sulle persone proposte, raccolta di pareri nei giorni precedenti, proposta “definitiva” del Presidente annunciata entro il 5 gennaio, possibilità di inviare nomi entro il 7 gennaio alle 12, con motivazione. Tra i temi che Davide Prosperi ha scelto di non inserire formalmente nell’ordine del giorno, ma che emergono comunque nella lettera di accompagnamento firmata da Marco Melato, figurano anche le criticità legate al nuovo Statuto: in particolare le lettere di contestazione che hanno iniziato a circolare all’interno del movimento, sottoscritte da numerosi aderenti.
Il nodo vero: i referenti territoriali come cartina di tornasole del nuovo assetto
Sul piano strettamente statutario, la mossa è ineccepibile. Lo Statuto 2025 affida alla Diaconia Centrale la competenza a designare i Referenti per gli ambiti territoriali: “può designare, dopo opportuna consultazione… dei Referenti per gli ambiti territoriali determinati dalla Diaconia stessa”. La parola “consultazione” resta dentro un perimetro che lo Statuto non definisce come vincolante, né come allargato alle comunità. E soprattutto, nella norma non compare alcun meccanismo di elezione territoriale o di proposta obbligatoria dal basso. Il punto è qui: la rete territoriale non determina più i propri responsabili, li riceve.
Dal “territorio che propone” al “centro che designa”
Per capire perché questo assetto ha il fine di “controllare, basta prendere in mano lo Statuto precedente, oggi non più in vigore. In quel testo la vita locale non era una mera articolazione esecutiva, ma un livello organico di governo:
esistevano organi locali strutturati: Responsabili Regionali e Diaconie Regionali; Responsabili Diocesani e Diaconie Diocesane (artt. 11-12).
il Responsabile Regionale veniva scelto dalla Diaconia Centrale, ma all’interno di una terna proposta dalla Diaconia Regionale (art. 20, lett. c; art. 29, lett. d). Qui la periferia non era decorativa: metteva sul tavolo tre nomi e costringeva il centro a scegliere dentro quella rosa.
il Responsabile Diocesano veniva addirittura “designato dalla assemblea dei membri residenti nella Diocesi” e doveva poi ottenere l’approvazione del Responsabile Regionale, “previa consultazione del Vescovo diocesano” (art. 30). In più, non poteva rimanere in carica se il Vescovo ne chiedeva la sostituzione (art. 30, lett. c).
Nel 2017, quindi, il territorio aveva due leve reali: una procedura di designazione a livello diocesano che passava dall’assemblea locale e un meccanismo di proposta “a terna” a livello regionale. Inoltre, l’aggancio con la Chiesa locale non era una sciocchezza insignificante: la consultazione del Vescovo era esplicitata e aveva conseguenze concrete. Nel 2025, invece, l’impianto cambia natura. La struttura territoriale viene ricondotta a Referenti designati dal centro (art. 15, co. 2, lett. o), con compiti e responsabilità stabiliti dalla Diaconia.
Ne risulta un modello più verticistico ed elitario per tre ragioni verificabili nei testi:
Scompare la procedura elettiva/assembleare diocesana prevista nel 2017 (art. 30).
Scompare la terna obbligatoria proposta dalle Diaconie regionali (art. 29) come vincolo politico-organizzativo sul centro.
La “consultazione” resta indicata come passaggio generale, ma senza il collegamento strutturale e “a doppio livello” che nel 2017 produceva pluralità e controbilanciamenti.
In altre parole: nel 2017 il territorio partecipava alla formazione delle scelte; nel 2025 il territorio viene configurato da scelte prese nel salotto del presidente e comunicate come esito.

Dall’8 gennaio al 12 gennaio: il fattore Roma
Su questo snodo si innesta un altro elemento che alza la temperatura: l’udienza con Papa Leone XIV. Martedì 12 gennaio il Santo Padre riceverà Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, insieme ad Alberto Brugnoli, Presidente dell’Associazione Memores Domini. Sarà il primo incontro della nuova governance con il Pontefice, dopo mesi in cui in Vaticano non è mancato lo stupore per quanto sta emergendo dall’inchiesta di Silere non possum, che sta ricostruendo e documentando, passaggio dopo passaggio, i fatti e i testi tenuti nascosti anche ai ciellini. «Mostra che le cose non sono andate proprio come ci erano state raccontate», ha confidato un prelato che si è confrontato con un cardinale che «ben conosce il movimento».
L’agenda del Papa e la “smania” di essere ricevuti
Davide Prosperi ha chiesto da tempo di essere ricevuto da Leone, ma si è scontrato con un doppio registro: da un lato lo stupore per la richiesta, dall’altro una impossibilità concreta legata a una ragione evidente. Nei primi mesi di pontificato, l’agenda del Papa è stata - e continua a essere - fortemente compressa da richieste incrociate, udienze, dossier e urgenze che si accumulano senza tregua. Uno stretto collaboratore del pontefice scherza sottolineando che “il principale incubo è l’orologio qui dentro”.
Lo stupore nasce soprattutto da questo: per quale ragione un laico alla guida di un’associazione che, come è stato ripetuto negli scorsi mesi, avrebbe già risolto ogni questione interna, dovrebbe essere considerato una priorità tale da scalare l’agenda del Papa? Le associazioni ecclesiali sono moltissime e, nella maggior parte dei casi, i loro presidenti e le loro guide non si sono nemmeno visti nei corridoi della Prefettura della Casa Pontificia. Qui, invece, si registra un passo ulteriore: c’è chi si rivolge direttamente al Pontefice, insistendo per ottenere un’udienza personale.
In questi 231 giorni da Papa, Leone XIV ha già dato prova della sua capacità di proteggersi dalle dinamiche tipicamente vaticane: persone e gruppi che si precipitano per orientare decisioni, “tirarlo per la tonaca”, costruire un canale privilegiato e trasformarlo in una leva per ottenere incarichi. Prevost è pienamente consapevole che alcuni continuano a muoversi con la mentalità del precedente pontificato, quando quel meccanismo, di fatto, era stato tollerato e talvolta persino assunto come metodo operativo di governo.
In questi mesi il Papa ha sentito numerose persone che "per carità", ovviamente, si rivolgevano a lui per "metterlo in guardia dai cattivi avversari" o per fornirgli "la vera ed unica verissima versione dei fatti". Prevost ascolta, sorride, ringrazia ma non è affatto ingenuo e queste dinamiche le comprende ancor prima che le persone comincino ad aprir bocca.
Nei primi giorni del pontificato ci sono stati alcuni cardinali, uno in particolare, che ha chiesto insistentemente di essere ricevuto, nonostante avesse avuto già un’udienza. Leone ha dato disposizione dicendo: “Ci sono altre persone in fila ancora”. Silere non possum lo aveva detto anche nei mesi scorsi, Prevost non è ingenuo ed è consapevole che questo è un momento delicato in cui “tutti vogliono salire sul carro”. Al Papa non sono passati inosservati neanche i giochi, fra la Segreteria di Stato e fra un Dicastero, che hanno visto suorone ansimanti fare la spola per ottenere risultati.
Perché convocare prima dell’udienza: la scelta che “chiude” il quadro
La convocazione della Diaconia Centrale fissata per l’8 gennaio, a ridosso dell’incontro romano, difficilmente può essere letta come una scelta neutra.
Sul piano formale rientra nelle prerogative previste; sul piano sostanziale è una mossa volta a rafforzare la catena di comando e a compattare la rete territoriale prima di un passaggio che potrebbe aprire a indicazioni differenti. «Se il Papa dovesse indicare un’altra via - osserva un porporato che conosce da tempo Comunione e Liberazione - si troverebbe davanti a decisioni già assunte, a pochi giorni dall’udienza. Un modo di procedere che difficilmente può essere ricondotto alla “Sequela della Chiesa e del Papa”».
Lo stesso porporato aggiunge alcune considerazioni che – precisa – intende far giungere anche al Pontefice: «Questo modo di procedere non costruisce quel clima di comunione che diventa indispensabile in realtà segnate da ferite, lotte intestine e interessi personali. Comunione e Liberazione è una realtà ricca, capace di offrire molto alla Chiesa; ma senza puntare su figure di comunione e di riconciliazione, il rischio concreto è di compromettere e perdere tutto».
d.D.V. e d.L.R.
Silere non possum