Raccolgo molti segnali che registrano la perdita del sacramento della Riconciliazione / Penitenza / Confessione. A quanto mi risulta molti battezzati non “si confessano” per molti anni. Forse non hanno peccati da confessare. Forse non ritengono che sia possibile per loro essere perdonati.
A quanto mi risulta molti battezzati non si confessano per un pentimento che invoca il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa. Cercano piuttosto qualcuno che li ascolti, hanno bisogno di sfogarsi. Non hanno bisogno di una grazia di conversione. Si accontentano del sollievo di qualche buona parola di consolazione. A quanto mi risulta la modalità celebrativa di questo sacramento è quasi esclusivamente quella personale, con evidenti derive individualistiche.
La comunione ecclesiale, nella sua pratica comunitaria, risulta spesso non integrata come componente essenziale della esperienza di fede del penitente che chiede il perdono dei suoi peccati. Per questo ho chiesto ai preti che confessano in Duomo di condividere la loro esperienza e trarne qualche spunto per propiziare un confronto tra preti nelle forme che saranno desiderate e possibili. In Duomo, infatti, sono sempre disponibili confessori in ogni giorno dell’anno e per tutto il giorno. E in ogni giorno dell’anno e in ogni ora del giorno ci sono penitenti. Anche in altri santuari della Diocesi è offerto un simile servizio e si registra una presenza simile di persone che desiderano confessarsi.
Non è secondario per il nostro servizio alla fede della gente e alla vita della Chiesa considerare il sacramento che sembra perduto per riconoscere la possibilità di ritrovarlo. Interrogarsi su questo aspetto del ministero del prete comporta anche interrogarsi sulla pratica del “sacramento perduto” che viviamo come ministri del perdono. Perciò sono grato ai confessori del Duomo per questa lettera e sono contento se diventerà un argomento per il confronto e l’immaginazione pastorale dei preti che esercitano il ministero in Diocesi.
+ Mario Delpini
Arcivescovo di Milano
Nello scorso mese di novembre, durante il dialogo annuale con i confessori del Duomo, l’Arcivescovo ha espresso il desiderio che i sacerdoti che confessano abitualmente in cattedrale scrivessero a tutti i preti della Diocesi una lettera sul tema della Penitenza sacramentale. Lo scopo non è di dare lezioni, ma di condividere le grazie e le opportunità che il ministero della Confessione in Duomo rende particolarmente evidenti. Infatti, il bisogno di ascolto e di perdono da parte della gente non è scomparso, nonostante la mentalità corrente voglia farci credere il contrario.
Il Padre ancora oggi attende i suoi figli attraverso il nostro ministero. Se «vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7), il nostro compito di confessori consiste nel far sì che questa gioia si realizzi già ora «come in cielo così in terra» (Mt 6,10). Se come sant’Ambrogio sapremo condividere il pianto del fratello peccatore, potremo anche condividere la sua gioia per il perdono ricevuto. Questa gioia poi diventerà la nostra forza, in ogni altro momento del ministero (cfr. Ne 8,10).
Proponiamo alcune riflessioni. Nei prossimi mesi potrebbero essere motivo di preghiera e di confronto, anche nei decanati. Vogliamo così rinnovare la gratitudine al Signore che ci fa partecipi della sua misericordia e rendere tale grazia sempre più efficace nella vita della gente.
La Penitenza sacramentale oggi: fra ideale e prassi
Oggi la gente fa fatica a percepire la Penitenza come parte della vita cristiana: se il “peccato” diventa semplicemente uno “sbaglio”, perché chiederne perdono?
Molti poi faticano a riconoscere nella Chiesa una mediazione necessaria della misericordia e un riferimento positivo per il discernimento morale. Alcuni giudizi del Magistero non sono capiti e a volte neppure conosciuti; ne consegue che spesso le persone si sentono sole nella valutazione morale. A volte infatti è la gente stessa a chiederci di essere aiutata a discernere il bene e il male, mentre la mentalità comune davanti alla necessità di una scelta suggerisce come unici criteri la fattibilità tecnica e la possibilità economica. È nostro compito aiutare i cristiani a comprendere che il Vangelo di Gesù Cristo richiede uno stile di vita preciso e che non ogni azione possibile è conforme al Vangelo.
Spesso nel dialogo penitenziale ci è chiesta tale opera di discernimento; altre volte invece anche il fedele che si confessa non sembra rendersi conto del vero significato morale di alcune sue azioni. Il penitente va certamente considerato dal confessore come il soggetto debole nella relazione e va dunque tutelato. Ciò non significa che egli non debba essere aiutato con domande opportune e discrete, tese non solo a realizzare la valida celebrazione del sacramento, ma pure una vera educazione morale.
Il presbitero, ministro della Penitenza
A volte i penitenti che giungono in Duomo (provenienti da ogni parte della Diocesi e oltre) affermano la difficoltà a reperire nella propria parrocchia un confessore disponibile in orari praticabili e noti. Ci guardiamo bene dal “prendere per oro colato” tali dichiarazioni; sappiamo che spesso sono i preti ad aspettare penitenti che non si presentano. Tuttavia, è evidente che il problema a volte si pone. Interroghiamoci circa il tempo che diamo a un ministero così decisivo non solo per la gente, ma per la nostra stessa identità sacerdotale. Ce lo ricordano le parole con le quali – durante la nostra ordinazione – ci siamo impegnati a celebrare «i misteri di Cristo, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione».
Il prete oggi è preso da mille urgenze e problemi; anche molti di noi confessori del Duomo siamo stati (o siamo ancora) in parrocchia e quindi lo sappiamo bene. Un’autentica carità pastorale ci impedisce di sacrificare alle urgenze organizzative e amministrative un ministero così necessario come quello della Penitenza.
A volte il problema non è solo il tempo disponibile: avvertiamo anche la tentazione di scansare il ministero della Confessione, per varie ragioni. Una di queste forse è la fatica dell’ascolto e la difficoltà nell’aiutare le persone a interpretare i fatti della vita nella forma di un discernimento morale. Si può produrre una duplice opposta tentazione: limitarsi a una ripetizione formale della norma morale; oppure offrire una consolazione puramente emotiva che non aiuta la persona ad assumersi la responsabilità di scelte conformi al Vangelo.
Il sacramento è occasione importante per vivere un’autentica paternità spirituale, necessaria per realizzare in modo fecondo il nostro celibato; spesso la testimonianza di fede provata che ci viene dalle persone che ascoltiamo è per noi di esempio e di incitamento a sostenere le nostre fatiche.
È importante verificare il tempo e le modalità del servizio penitenziale. Soprattutto i fedeli che frequentano meno hanno bisogno di vedere il prete disponibile in chiesa per fare il passo, a volte faticoso, di chiedere il sacramento. La precisione dei tempi e la visibilità del luogo (adeguato) della Penitenza sono essi stessi strumenti di evangelizzazione. È bene che ogni fedele si senta invitato, non solo chi è già assiduo e può quindi incontrare il sacerdote con maggiore facilità.
I presbiteri delle singole parrocchie, comunità pastorali e santuari potrebbero mettere a tema gli orari del servizio penitenziale (come già avviene per le messe) ponendo attenzione non solo alla disponibilità dei singoli preti, ma anche alle dinamiche del contesto civile. I tempi stabiliti per la Penitenza devono essere comunicati e vanno mantenuti. Può essere opportuno offrire la possibilità della Confessione durante un momento di adorazione eucaristica settimanale, per favorire un clima di preghiera al contempo personale e comunitario. Inoltre, si potrebbero valorizzare nelle celebrazioni eucaristiche feriali i formulari «per la remissione dei peccati». Del resto, fa parte del nostro ministero ricordare nella preghiera i penitenti, soprattutto quelli più provati.
Il singolo colloquio penitenziale è decisivo ma non può esaurire il cammino di crescita nella fede, che richiede necessariamente un contesto comunitario. Un primo livello è dato dalla predicazione domenicale, che non dovrebbe censurare il confronto con le tematiche morali; lo stesso vale per i percorsi di catechesi. Può essere utile valorizzare (soprattutto in Quaresima) dei momenti di celebrazione comunitaria del sacramento. Essi potrebbero prevedere una preparazione che aiuti la gente a riscoprire il senso e le modalità migliori per vivere la Penitenza come atto liturgico illuminato dalla Parola di Dio, anche quando celebrato in forma individuale. Per quanto riguarda l’educazione circa i contenuti della Confessione, non abbiamo dimenticato il magistero del cardinale Martini in merito alla triplice confessio (laudis, vitae, fidei).
Quello del presbitero confessore è un ministero nella Chiesa. Come tale chiede di essere svolto in comunione con la dottrina e la disciplina della Chiesa cattolica, che vanno anteposte alle proprie valutazioni. La personalità di ciascun presbitero non viene in questo modo censurata, ma piuttosto valorizzata nella qualità dell’ascolto e nella capacità di proporre ai penitenti soluzioni di discernimento convincenti e veri cammini di crescita spirituale.
Può capitare a volte di incontrare nell’esercizio del ministero casi difficili che non consentono una soluzione immediata. Anche in tali situazioni noi possiamo aiutare il penitente a sentirsi coinvolto nel dinamismo d’amore dichiarato dal Vangelo: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32): l’amore di Gesù non esclude nessuno, neppure quando l’incontro pieno può essere raggiunto solo dopo un percorso impegnativo.
Un’ultima parola va detta sul tema della cosiddetta “soddisfazione sacramentale”. Possiamo evitare due estremi: il ricorso a una “tariffa standard” di preghiere da recitare e il semplice rinvio alla buona volontà del penitente. Anche qui è bene che il fedele abbia la chiara impressione di essere inserito positivamente nella Chiesa e di ricevere un compito da assolvere a beneficio della comunità, sia esso di preghiera o di carità.
Il presbitero, soggetto della Penitenza
Noi presbiteri che svolgiamo il ministero della Penitenza in Duomo spesso ascoltiamo le confessioni dei nostri confratelli. Cogliamo l’occasione per ringraziare coloro che ci danno fiducia e ci aiutano a riconoscere la presenza del Signore nella nostra vita.
Anche il presbitero è un peccatore chiamato alla conversione e può confessare bene gli altri se sa egli stesso confessarsi bene. La propria Confessione è un’occasione nella quale il prete – che è più spesso abituato a dirigere – ricorda il primato del Battesimo che ci rende tutti fratelli: «Uno solo è il vostro maestro» (cfr. Mt 23,10). Inoltre, vivere fra preti il ministero della Penitenza è una forma alta di fraternità sacerdotale che merita di essere valorizzata. Già ora il Duomo e alcuni santuari garantiscono tale disponibilità: sarebbe bene forse valorizzare anche altri luoghi nel territorio diocesano.
Il ministero sacerdotale è un servizio alla fede dei fratelli. Non è possibile esercitarlo con coscienza retta se non si mantiene alto il livello della propria vita spirituale, anche attraverso la regolarità e una certa frequenza nella Penitenza sacramentale. Ciò è tanto più necessario, data la buona prassi della celebrazione eucaristica quotidiana. La vita penitenziale è connessa a uno stile sobrio e alla pratica effettiva della preghiera: alcune buone prassi acquisite nel periodo del seminario andrebbero custodite come grazie preziose anche nel ministero.
Conclusione
Ringraziamo tutti i confratelli presbiteri che hanno avuto la pazienza di seguire fin qui la nostra riflessione. Non era nostra intenzione scrivere qualcosa di nuovo, ma, semplicemente, ascoltando il suggerimento del Vescovo, comunicare nella fede la gioia e la responsabilità di un ministero che ci è affidato. Ricordiamoci vicendevolmente nella preghiera, perché il Regno di Dio si compia sempre più nella nostra vita e in quella di tutti coloro che avremo la grazia di incontrare.
I presbiteri che confessano
nel Duomo di Milano