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Città del Vaticano - Entrando dal portone principale del convento di San Salvatore, nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme, si respira immediatamente quel profumo misto di incenso e pietra antica che solo certi luoghi di preghiera riescono a conservare intatto nel tempo. Alla destra, in silenziosa austerità, si apre la Curia; più avanti, il seminario, con il suo ritmo scandito da preghiera e studio. Al piano terra si intravede il refettorio, dove il clangore dei piatti si mescola al borbottio sommesso dei frati. Ci fermiamo a pranzo con la comunità e dopo, salendo le scale, raggiungiamo la sala di comunità dove i religiosi della Custodia si ritrovano dopo pranzo.
È proprio in quella saletta, al secondo piano, che – come ci raccontano più voci a Gerusalemme – Pierbattista Pizzaballa, quando era Custode di Terra Santa, si lasciava andare a considerazioni un po’ al limite. Frate tra i frati, ma anche uomo di potere tra i più scaltri, nei momenti di informalità mostra un volto ben diverso da quello istituzionale. “Spesso quando era con noi, anche in comunità, fra un bicchierino e l’altro, ci si lasciava andare a considerazioni. Nei nostri confronti utilizza nomignoli come zoccolette e simili”, racconta chi lo ha conosciuto da vicino. Considerazioni che il Patriarca avrebbe fatto anche ad alcuni frati in sagrestia durante la preparazione ad una Celebrazione Eucaristica. In un clima che dovrebbe essere fraterno e rispettoso, certe espressioni rivelano non solo uno spirito pungente, ma anche una cultura plasmata negli anni che spesso Silere non possum ha condannato: quel modo di parlare volgare appellando terzi con nomignoli al femminile. Uno stile che rivela molto di chi pronuncia simili frasi. Al nostro ritorno in Vaticano, confidando questi racconti ad un porporato di curia, sentendo queste considerazioni, ha commentato amaramente: “Sarebbe interessante passare dalla frociaggine alle zoccolette, un salto di qualità”.
Quando il talento fa paura
Pierbattista Pizzaballa è uno di quei presuli che ha mostrato nel tempo una singolare incapacità nel valorizzare talenti autentici. Ha preferito invece circondarsi di figure, chiacchierate o semplicemente mediocri, purché silenziose, fedeli e assolutamente innocue. Anche qui in Vaticano sono state avanzate richieste di nomine da parte di Pizzaballa, il quale ha voluto promuovere uomini dalle discutibili capacità di governo e totalmente disposti a non metterlo mai in secondo piano. La paura che qualcuno potesse davvero “fare meglio” ha portato alla sistematica esclusione di figure competenti e apprezzate. Allo stesso tempo il Patriarca di Gerusalemme dei Latini viene definito un bravo amministratore, il quale è riuscito a risolvere non pochi problemi economici sia nella Custodia che nel Patriarcato. Pizzaballa, inoltre, è un altro di quei frati che, dopo la nomina episcopale, ha abbandonato del tutto il saio, dimenticandosi che l’abito talare nero non è quello che può utilizzare quotidianamente il frate francescano.
Dalla Custodia al Patriarcato
Nato nel 1965 a Castel Liteggio, in provincia di Bergamo, Pizzaballa ha iniziato il cammino tra i frati minori sin dalla giovinezza. Dopo la formazione classica e teologica tra Rimini, Ferrara e Bologna, fu ordinato sacerdote nel 1990. La sua vocazione lo portò ben presto in Terra Santa, dove studiò presso lo Studium Biblicum Franciscanum e la Hebrew University, distinguendosi per la competenza nell’ambito ebraico e per la capacità di dialogo interreligioso. Nel 2004 fu nominato Custode di Terra Santa, ruolo che ha ricoperto per dodici anni consecutivi: un mandato eccezionalmente lungo, che gli ha permesso di diventare una figura chiave nelle mediazioni tra Israele e Palestina. Papa Francesco, nel 2016, lo ha nominato amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme. “In realtà lui non voleva diventare Patriarca, per questo restò molto tempo Amministratore. Preferiva ritornare in Italia come vescovo di qualche diocesi o anche in Curia ma qui a Gerusalemme è consapevole che ci sono delle dinamiche poco chiare che lo hanno sempre visto nel mirino di Israele”, spiegano nel Patriarcato. Francesco, però, lo ha voluto nominare Patriarca a tutti i costi e nel 2020 è arrivata la nomina.

Una bocca troppo larga
Un’altra delle critiche che viene mossa al frate minore riguarda la sua disinvoltura nel riferire questioni che dovrebbero essere riservate. Appena nominato amministratore, riferiscono, “Pizzaballa cominciò a condividere pubblicamente dati delicati sulla crisi economica del Patriarcato”. Non solo con il clero, ma anche con gruppi di pellegrini, benefattori e semplici visitatori che lui accoglieva. Parole imprudenti, che lasciarono intendere una pesante critica al patriarca emerito Fouad Twal e insinuarono dubbi sulla correttezza della gestione precedente. Il danno d’immagine e la disistima verso l’istituzione crebbe e il clero locale cominciò a domandarsi se fosse opportuno tutto questo, nonostante le innegabili criticità del mandato del predecessore. I sacerdoti si sono chiesti se Pizzaballa fosse più attento al bene dell’Istituzione o all’autoaffermazione.
Un episodio particolarmente doloroso mette in luce l’incapacità del Patriarca Pierbattista Pizzaballa di gestire con la necessaria discrezione vicende personali e sensibili. La storia riguarda un giovane seminarista del Patriarcato latino di Gerusalemme, la cui situazione è giunta fino alle orecchie dei frati del Convento di San Salvatore, a testimonianza della sua diffusione nel piccolo mondo ecclesiastico locale. Il chierico era stato invitato a lasciare il seminario in seguito a uno scrutinio non favorevole da parte dei superiori. Tra le motivazioni vi erano anche considerazioni legate alla sua sfera affettiva e alla maturazione personale. Pizzaballa avallò il giudizio dei formatori e la decisione fu eseguita. Il giovane tornò a casa, e la questione – almeno formalmente – parve chiusa. Va ricordato, tuttavia, che in questo contesto culturale la questione dell’orientamento sessuale resta ancora fortemente un tabù. “L’omosessualità qui non è né compresa né accettata, nemmeno all’interno delle famiglie, le quali hanno il terrore del giudizio altrui” spiega un religioso che conosce bene la realtà locale. Nonostante ciò, o forse proprio a causa di un’insufficiente sensibilità verso queste dinamiche, Pizzaballa avrebbe commesso un grave passo falso. Durante una cena alla quale partecipavano diversi sacerdoti – tra cui il parroco del giovane ex seminarista – si sarebbe lasciato andare a un commento sconcertante: “Ci sono dei giri di fr**i, con questo ne abbiamo fatto fuori uno intanto.”
Una frase che ha suscitato scandalo, non solo per la volgarità, ma per la leggerezza con cui è stata pronunciata, specie considerando la posizione di responsabilità ricoperta da chi parlava. Il parroco presente riportò quanto udito nell’ambiente parrocchiale, secondo uno schema purtroppo noto in certi ambienti clericali: grande zelo per le vicende altrui, e poca vigilanza sul proprio cesto della biancheria. La voce si diffuse rapidamente, arrivando infine alla famiglia del giovane, che reagì in modo violento, tanto da aggredirlo fisicamente pubblicamente e cacciarlo di casa. In un contesto dove l’onore familiare è ancora legato a dinamiche di vergogna sociale, il gesto fu anche una dimostrazione pubblica di disapprovazione.
Il ragazzo, così, si è trovato improvvisamente solo, in un ambiente ostile, costretto ad abbandonare il Paese per un lungo periodo. Questa vicenda drammatica, che ha segnato profondamente la vita di questo giovane, lascia intravedere una grave mancanza di umanità da parte del Patriarca e una tendenza al pettegolezzo che, su temi tanto delicati, può avere conseguenze devastanti. Non è solo una questione di stile o di linguaggio: è una questione di responsabilità pastorale e di rispetto della dignità delle persone.
Distanza dal clero e tensioni tra i frati
Nel Patriarcato di Gerusalemme e tra i frati minori, Pizzaballa ha lasciato dietro di sé un ambiente spesso spaccato. Alcuni lo definiscono un accentratore, altri lo accusano di essere pettegolo, incapace di coltivare rapporti sinceri con i confratelli. Altri ancora lo difendono a spada tratta. A detta di molti, il cardinale mantiene un rapporto piuttosto freddo con il clero locale, preferendo circondarsi di collaboratori stranieri, in particolare italiani, come il suo segretario e cancelliere-factotum. Questa distanza alimenta il senso di esclusione e genera tensione in un territorio dove la comunione tra pastore e presbiteri è fondamentale.
Una figura politica controversa
Pierbattista Pizzaballa è stato tra i pochissimi esponenti della gerarchia ecclesiastica ad assumere pubblicamente una posizione chiara e coraggiosa a favore dei diritti del popolo palestinese, anche nei momenti più drammatici del conflitto. Dopo l’escalation di violenza a Gaza nel 2023, dichiarò persino la sua disponibilità a offrirsi in cambio dei bambini presi in ostaggio da Hamas. Non sono mancate, nel tempo, le sue denunce aperte contro le gravi violazioni commesse da Israele nei territori occupati, parole che hanno scosso molti per la loro lucidità e forza. Pizzaballa parla con cognizione di causa: conosce a fondo la realtà palestinese, ne ha vissuto le ferite, ha ascoltato per anni il dolore di una popolazione privata dei suoi diritti fondamentali. Ma questa onestà, in una regione dove anche la verità è oggetto di contesa, ha un prezzo. In numerosi gruppi e canali di comunicazione israeliani – pubblici e privati – circolano fotografie del cardinale con la kefiyah sulle spalle, simbolo della resistenza palestinese, accompagnate da insulti volgari e carichi d’odio. La sua figura è diventata bersaglio di una campagna di delegittimazione e disprezzo, soprattutto da parte di chi considera ogni gesto di solidarietà verso i palestinesi un tradimento. Questa fermezza, per quanto fondata e necessaria, rischia però di renderlo un candidato divisivo nel prossimo conclave. Il nuovo Papa, infatti, dovrà non solo ricucire le lacerazioni interne della Chiesa, ma anche restituire alla Santa Sede quella credibilità e quella imparzialità diplomatica che molti oggi percepiscono come compromesse. In questo contesto, l’immagine di Pizzaballa, pur rispettabile sul piano personale e profetica nelle intenzioni, potrebbe non essere la figura di unità di cui la Chiesa ha urgente bisogno. Senza dimenticare la giovane età che rischierebbe di condannare la Chiesa ad “un pontificato eterno”, come disse qualcuno.
Verso la Cappella Sistina
Pierbattista Pizzaballa sarà tra coloro che entreranno nella Sistina il 7 maggio 2025 per eleggere il prossimo Successore di Pietro. E lo farà con un curriculum denso, ma anche con molti interrogativi. “Ha lasciato Gerusaleme da Papa, tornerà da cardinale”, commentano dalla Terra Santa. Ha fatto discutere, infatti, il video che è circolato anche in Vaticano che lo vedeva lasciare il Patriarcato di Gerusalemme con l’acclamazione dei collaboratori che sembravano salutarlo per sempre. Chi lo conosce bene sa che Pizzaballa non è uomo facile da leggere ed è una figura molto scaltra, abile nel parlare male anche di coloro che non conosce e questo non offre una immagine positiva di questo frate.
p.S.F.
Silere non possum