Roma - C’è un filo sottile ma tenace che lega le voci dei perseguitati di oggi a quelle che, ottant’anni fa, si levavano dalle celle del carcere di Tegel. È il filo della libertà religiosa: non un privilegio, ma il diritto fondamentale stesso di vivere secondo coscienza, di “cercare la verità, accoglierla e conformare la propria vita ad essa”, come ricorda il Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo 2025 pubblicato da Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Bonhoeffer, nella sua prigionia, lo avrebbe espresso in altri termini: “Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio”.
Il prezzo della libertà negata
Il Rapporto, pubblicato oggi, mostra una realtà drammatica: in 62 Paesi del mondo si registrano violazioni sistematiche della libertà religiosa, con oltre 5,4 miliardi di persone che vivono senza poter credere e pregare liberamente.
“Violazioni sistemiche e gravi, tra cui violenze, arresti e repressione”, scrive ACN, colpiscono più di 4 miliardi di esseri umani, specialmente in paesi come Cina, India, Nigeria e Corea del Nord, mentre in altri luoghi “la persecuzione assume forme più sottili: censura, burocrazia, discriminazione legale”. Dietrich Bonhoeffer, testimone e vittima di un’altra stagione di oppressione, intuì che la libertà della fede non può mai essere data per scontata. “La carcerazione rappresenta un arricchimento dell’esperienza, certamente ad un prezzo altissimo” – scriveva – perché solo nel limite estremo, quando tutto è tolto, “la fede diventa un affare di fede”, cioè un atto che affida il mondo a Dio e non a sé stessi. Nel suo carcere come oggi nelle prigioni iraniane, nelle foreste del Sahel o nelle diocesi perseguitate del Nicaragua, la fede diventa resistenza e resa: resistenza al male, resa a Dio.
La persecuzione come rivelazione del mondo
Il Rapporto 2025 avverte che “l’autoritarismo rappresenta oggi la principale minaccia alla libertà religiosa” e che “il nazionalismo etno-religioso erode i diritti delle minoranze”. Ciò che Bonhoeffer chiamava “la mondanità del mondo” – il farsi adulto dell’uomo, emancipato ma privo di Dio – ritorna qui come categoria storica e teologica. Egli scriveva: “Cristiano è appunto colui che mondanamente partecipa, nell’aldiquà della vita, alla sofferenza di Dio”. Non è l’assenza di religione a essere pericolosa, ma il suo uso politico, la sua riduzione a strumento del potere o della violenza.
In questo senso, Bonhoeffer anticipò la diagnosi di ACN: quando la fede viene manipolata per legittimare un regime o un nazionalismo, essa smette di essere un luogo di libertà e diventa il linguaggio della sopraffazione. La persecuzione, allora, diventa paradossalmente una rivelazione: mostra che la libertà religiosa non è una concessione dello Stato, ma la misura della sua umanità.
Il Dio inutile e la dignità dell’uomo
Nella sua “teologia del carcere”, Bonhoeffer parla del Dio inutile, colui che “vuole essere riconosciuto al centro anche di una vita mondana”, non come tappabuchi ma come senso profondo di ciò che resta umano anche nella prova. Il Rapporto ACN si muove nella stessa direzione quando afferma che “la libertà religiosa non è un privilegio, ma un diritto umano fondamentale”, e che “portare alla luce la verità sulle violazioni è il primo passo verso il cambiamento”.
Entrambi, il teologo tedesco e il Rapporto contemporaneo, convergono su un punto essenziale: non esiste giustizia senza la libertà di credere. La persecuzione religiosa è la forma più radicale di disumanizzazione, perché colpisce la coscienza stessa, il luogo dove l’uomo incontra Dio e sé stesso. Bonhoeffer lo capì nel momento della prigionia, quando scriveva che “l’azione può essere considerata affare di fede solo se è integrata da una sofferenza vissuta come momento liberante” - la sofferenza come compimento dell’obbedienza.
Dalla denuncia alla solidarietà
La testimonianza di “Miriam”, la cristiana pakistana che nel Rapporto racconta la morte del nonno accusato di blasfemia, ci riporta al cuore del messaggio di Bonhoeffer: la sofferenza per la fede non è mai privata. È parte del dolore di Dio nel mondo.
“Mio nonno è morto per le ferite riportate. […] Noi cristiani in Pakistan rispettiamo gli altri, ma spesso non riceviamo lo stesso trattamento”, dice. Le sue parole sembrano proseguire quelle del pastore luterano che scriveva dalla cella: “Il cristiano che resta sulla terra con un solo piede, starà con un solo piede anche in paradiso”.
Il Rapporto ACN chiude con un appello che Bonhoeffer avrebbe potuto firmare: “Denunciare le violazioni, diffondere consapevolezza, restare informati, affinché chi soffre a causa della propria fede non sia lasciato solo, nel silenzio e nell’isolamento”.
Resistere per credere
Nel linguaggio del potere, la libertà religiosa è spesso un tema di diplomazia. Nel linguaggio della fede, è il segno più concreto della dignità dell’uomo. Bonhoeffer ci ricorda che “chi resta saldo” non è l’eroe politico né il teologo di successo, ma chi “è pronto a sacrificare tutto nel vincolo esclusivo a Dio”.
Il Rapporto 2025 non fa che attualizzare questa lezione: la libertà religiosa, oggi, è il luogo dove si misura la verità della civiltà. Dove essa viene negata, il mondo intero entra in prigione.
G.M.
Silere non possum