Some reflections on the Rupnik case and the Pontifical Commission for the Protection of Minors

A seguito della pubblicazione, da parte di Silere non possum, della notizia dell’avvenuta incardinazione di Marko Rupnik nella diocesi di Capodistria il Sommo Pontefice ha ordinato al Dicastero per la Dottrina della Fede di istituire il processo derogando alle norme sulla prescrizione.

La competenza, come previsto dalla Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, spetta proprio alla sezione disciplinare di questo Dicastero la quale “si occupa dei delitti riservati al Dicastero e da questo trattati mediante la giurisdizione del Supremo Tribunale Apostolico ivi istituito, procedendo a dichiarare o irrogare le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune sia proprio, fatta salva la competenza della Penitenzieria Apostolica” (Art. 76). 

È abbastanza inquietante che tale scelta arrivi a seguito di una campagna mediatica e nessuno abbia voluto ascoltare giuristi ed esperti che avevano dato consigli e suggerimenti sul caso. Questo conferma, ancora una volta, come oggi il diritto sia una delle ultime preoccupazioni di Papa Francesco, addirittura sembra essere una palla al piede di questo pontificato. Ma se ci muoviamo solo a seguito dell’indignazione del popolo cosa ci distingue dagli anni in cui ci muovevamo per dare pene pubbliche ed esemplari?

Ecco, tornano alla mente la parole che Francesco ha affidato ad una lettera indirizzata al neo prefetto Víctor Manuel Fernández il 1 luglio 2023. Scriveva il Papa: Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali”. Come al solito Bergoglio usa parole pesanti senza neppure circoscriverle ma solo per infangare quanto è stato prima di lui. Il Dicastero non ha mai utilizzato metodi immorali, al massimo ha utilizzato metodi che riprendevano le modalità utilizzate in ambito civile. Ciò a cui si può pensare, appunto, è proprio ai processi imbastiti senza alcuna tutela della persona accusata e con l’unico fine di fornire un esempio pubblico che fosse esemplare. Oggi, però, che cosa ci distingue da quei tempi?

Forse perché non ci sono più i fuochi accesi, i carboni ardenti, è cambiato qualcosa? Nella società, e di conseguenza anche nella Chiesa, siamo abituati a muoverci a "furor di popolo" e non per giustizia o ricerca della Verità. Quante volte i giornali titolano in prima pagina "Colpevole" e quando queste persone vengono assolte non dedicano neppure un trafiletto in ultima pagina? L'opinione pubblica chiaramente si ferma a quei titoli e sono poche le persone che vanno alla ricerca degli sviluppi, delle verità (anche solo processuali).

Il tutto, quindi, si svolge sui giornali. Processi lampo. È sufficiente un avviso di garanzia e il destinatario è già colpevole, condannato in ultimo grado. La sensazione è proprio quella che proviene dai social. Le persone non sono capaci di ragionamento e un discorso che dura più di 50 secondi è già troppo complesso. Spesso ci si ritrova a dire: "Ci sono state cose che non hanno funzionato, sì, ma bisogna..." e si viene interrotti con la domanda: "Si ma è colpevole o innocente?". 

Le anomalie procedurali: un rischio serio

Anche nel caso di Marko Ivan Rupnik sono molteplici le anomalie ma chiaramente c'è chi mette in risalto ciò che fa comodo e passa sopra al resto. Si è attaccato il Papa perché ha tolto la scomunica ma si è applaudita la scelta di derogare alla prescrizione. Ma se si guarda alla sostanza il problema non è lo stesso?   

Il problema del pontificato di Francesco è che mette in serio pericolo alcune norme che in questi anni hanno favorito il buon andamento della giustizia. "Il Papa può intervenire sulle cause, il Papa agisce come un monarca assoluto" è stato detto. Certo, questo avviene perché a Pietro questo potere è stato conferito e in questi anni è stato il modo con cui si è potuti intervenire su questioni complesse per poterle risolvere secondo giustizia. Oggi, invece, il rischio è che il principio sancito dal canone 1404 CJC venga messo in discussione proprio perché la giustizia viene amministrata dal Papa secondo i propri umori e le proprie amicizie. 

Pertanto, non si può pensare di rimuovere la scomunica all'amico, proteggerlo quando viene scoperto e poi approvare migliaia di decreti in forma specifica per "non avere rogne" così negando i diritti delle persone accusate. La giustizia non si amministra così. Anche le norme sulla prescrizione hanno un senso e non possono essere derogate a seconda delle circostanze, altrimenti vengono meno tutte le garanzie e i principi stessi del processo. Piuttosto, nel caso di specie sarebbe stato tutto molto più semplice se si fosse agito per tempo e soprattutto non fosse stata revocata la scomunica con quella facilità.

La Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori

Come abbiamo evidenziato nei giorni scorsi, la soluzione che il team attorno al Papa ha trovato per uscire da questo vicolo cieco è stata una lettera che la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ha inviato a settembre 2023. È chiaro che non si poteva ammettere di essere con le spalle al muro perché qualcuno aveva reso noto che Rupnik in quattro e quattr'otto aveva trovato un ordinario disposto ad incardinarlo.

Il problema, però, è che tale narrazione evidenzia ulteriori anomalie che poi sono state confermate quando dalla Curia Romana ci è giunta una copia della email inviata da un membro della PCPTM alle presunte vittime.

Patricia Espinosa scrive: "È a causa di questa profonda preoccupazione che l’attuale Pontificia Commissione, rispondendo al mandato che le è stato conferito, cerca di rivedere i processi e le azioni che sono state svolte nel suo caso particolare, per identificare come tutto ciò possa aver influito sulla legittimità del suo reclamo, dei suoi diritti e del sostegno e accompagnamento che non le sono stati dati". E aggiunge: "È importante chiarire che il nostro lavoro si concentrerà esclusivamente sulla revisione della qualità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attenzione prestata alle vittime (psicologica, medica, spirituale, pastorale, legale), nonché sulle procedure canonicamente stabilite durante tutto il processo. Quindi, non abbiamo il potere di modificare la sentenza esistente, né di intervenire nelle decisioni prese dal tribunale e dalle istanze corrispondenti. Lo scopo di questa revisione è quello di garantire che le procedure per assistere le vittime siano giuste, trasparenti e adeguate per fornire un ambiente sicuro e rispettoso per tutti coloro che sono colpiti dall’abuso nelle sue varie forme, compreso l’abuso sessuale, e che - confidando nella Chiesa - si sono fatti avanti per denunciare la loro terribile esperienza". 

Queste parole, per quanto possano essere condivisibili dal punto di vista sentimentale, sono preoccupanti dal punto di vista del diritto e, di conseguenza, fanno riflettere sull'amministrazione della giustizia durante questo pontificato. Quali sono i compiti della Pontificia commissio pro tutela minorum? È sufficiente leggere la costituzione apostolica Praedicate Evangelium e i relativi statuti per comprendere che il suo compito è quello di "fornire al Romano Pontefice consiglio e consulenza ed altresì proporre le più opportune iniziative per la salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili" (Art. 78 - PE) e ancora " La Commissione ha funzione consultiva, al servizio del Santo Padre. La protezione dei minori è di prioritaria importanza. Scopo della Commissione è proporre iniziative al Romano Pontefice, secondo le modalità e le determinazioni indicate in questo Statuto, al fine di promuovere la responsabilità delle Chiese particolari nella protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili" (Art. 1 - Statuti).

Le norme vigenti, pertanto, non prevedono che la Pontificia Commissione possa fare valutazioni sulle procedure canoniche adottate. Certo, Espinosa specifica che non hanno il potere di revisionare le decisioni. Ci mancherebbe! Ci viene da dire. Disegnare i limiti delle diverse realtà presenti è molto importante soprattutto in un momento storico come quello attuale nel quale i dicasteri vengono sempre più vivisezionati e nascono ulteriori realtà. È molto importante per garantire giustizia. Il rischio qual è? Quello che è accaduto con Giacomo Incitti e la Diocesi di Roma.

In questi anni abbiamo visto come la Commissione abbia fatto numerosi gesti che non hanno aiutato affatto la riflessione sugli abusi ma hanno solo cercato il supporto dei media per attaccare le istituzioni della Chiesa. La Commissione non ha mai accettato di doversi limitare a offrire strumenti per combattere gli abusi ma ha sempre preteso di svolgere quello che è il compito del Dicastero per la Dottrina della Fede. Perché? Forse perché anche in questo caso c’è qualcuno che ambisce a rivestire ruoli, stare sotto i riflettori piuttosto che aiutare sinceramente la Chiesa nel combattere una piaga come quella degli abusi? Le strutture funzionano se ognuno svolge il suo compito. C’è chi consiglia, chi viene consultato e c’è chi agisce e procede. Nessuno vale più dell’altro, semplicemente sono necessarie competenze ed esperienze differenti. Cosa diremmo se in Italia l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza volesse svolgere le funzioni di un Tribunale per i minorenni? Si tratta della medesima situazione. Ognuno è prezioso per ciò che è chiamato a fare.

Le norme servono anche per questo, il diritto deve essere certo. Se si inizia a sdoganare l’idea che chiunque può mettere bocca sulla decisione di un determinato dicastero, ci ritroveremo nella medesima situazione prospettata da Branduardi nella canzone “Alla Fiera dell’Est”. È importante, quindi, garantire la gerarchia dei vari organi giudiziari. Come ha ribadito Papa Francesco in Praedicate Evangelium questo tipo di delitti, molto gravi, sono di competenza del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Il procedimento canonico

Spetterà a questo organo, in particolare alla sua sezione disciplinare, avviare il procedimento. In primo luogo sarà necessario verificare preliminarmente se le condizioni previste dall'articolo 6 delle Norme sui delitti riservati della Congregazione per la Dottrina della Fede può trovare applicazione. Come noto, infatti, le accuse rivolte contro Marko Ivan Rupnik non riguardano minori ma adulti. La competenza di questo dicastero si limita solo ai casi di adulti "che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione". 

Successivamente, si potrà procedere con il procedimento vero e proprio che non potrà affatto essere pubblico per tutelare la buona fama delle vittime e dell'accusato.

Anche in merito alle affermazioni rilasciate da S.E.R. il Sig. Cardinale Víctor Manuel Fernández in riferimento al suo ufficio è doveroso specificare che non è affatto possibile che il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede non si occupi di una delle due sezioni presenti. Si può certamente presumere che delegherà il lavoro a persone più competenti di lui ma la supervisione resta sempre la sua ed è giusto che sia così. Se si riteneva potesse non esser compatibile non si doveva nominare in quel ruolo.

C'è amarezza, quindi, nel constatare che oggi ciò che funziona è "l'indignazione pubblica" piuttosto che "la giustizia" e "il diritto". Sarebbe bene che qualcuno si rendesse conto che in questo modo non si acquisisce credibilità ma si stimola, sempre di più, un agire forcaiolo e sentimentale che non fa bene alla Chiesa ma irrigidisce i suoi detrattori.

d.G.M.

Silere non possum