Brescia - Nella giornata di ieri, 1° ottobre 2025, Silere non possum ha ricevuto una lunga e articolata lettera da alcuni sacerdoti della diocesi di Brescia. Un testo che, con linguaggio schietto e privo di sconti, ma sempre animato dal rispetto verso la Chiesa che essi amano — così come la amiamo noi — ripercorre gli avvenimenti che hanno segnato la diocesi negli ultimi mesi, le decisioni del Vescovo e il malcontento che serpeggia nel presbiterio e fra gli stessi laici.

La lettera — che pubblichiamo omettendo solo una parte che fa alcune considerazioni che ci riserviamo di pubblicare solo a seguito delle necessarie verifiche — unisce gratitudine per il lavoro del nostro portale a una lucida denuncia delle contraddizioni, delle dinamiche di potere e delle ferite mai rimarginate. È la voce di chi, dall’interno di questa Chiesa particolare, vive il peso di una Chiesa che, invece di interrogarsi sulle cause del disagio, preferisce colpire chi osa portarne alla luce le criticità.


Caro Direttore,
Le scriviamo per esprimerle la nostra sincera gratitudine per il servizio che, con il portale Silere non possum, rendete alla Chiesa universale e, non da ultimo, alla nostra diocesi di Brescia.

Vede, mentre vescovi, vicari e persino quei “giornalai raccattabriciole”, come giustamente li definite voi, si domandano con sospetto le ragioni di tale attenzione verso la nostra realtà, noi sacerdoti non possiamo che rallegrarci nel constatare che vi sia finalmente qualcuno disposto a chiamare le cose con il loro nome e, soprattutto, a dare voce a chi da troppo tempo ne è stato privato. Siamo rimasti attoniti nell’apprendere che il Vicario Generale si sia circondato di tale Giovanni Castiglia, personaggio del quale voi stessi ci avevate messo in guardia da tempo con documenti, racconti, audio…Non è bastato lo scandalo di Santa Maria Maggiore, che già aveva visto coinvolto un nostro confratello: no, si è voluto trascinare nell’ombra l’intera diocesi.

E purtroppo questo non è che un frammento di un quadro ben più vasto. Quanti giovani, passati per le stesse mani, oggi servono agli altari delle nostre parrocchie convinti di essere “i giusti”, invece di interrogarsi sulle ferite e sulle ombre che ne hanno segnato la formazione e che, con sapienza e prudenza, avevano indotto il seminario a non accoglierli?

Queste sono le dinamiche che, purtroppo, da tempo siamo costretti a subire: figure allontanate dal seminario diocesano che oggi circolano indisturbate per le diocesi italiane, reinventandosi non tanto come pastori, ma come “maestri di cerimonie”. Personaggi che, ovunque approdino, non fanno altro che alimentare malumori e chiacchiericcio. Li si vede rivestirsi di abiti paonazzi che non avrebbero titolo di indossare, ostentando un’autorità che non possiedono. Ma anche in queste diocesi hanno trovato vescovi, con sandaletti e saio, che permettono loro di fare ciò che vogliono. Del resto, se una volta espulsi dal seminario, esistono “comunità pseudo-tradizionaliste” pronte a ripescare questi soggetti, vicari generali che li rivestono di talari e fasce, e rettori di altri seminari disposti persino a ordinarli, che cosa ci si può realisticamente attendere?

Abbiamo letto con attenzione il vostro articolo sul “corpo malato” e vi confessiamo che ci ha offerto una conferma inequivocabile di ciò che già conoscevamo. Non è nostro intento psicanalizzare il vostro operato, ma ci è parso evidente che il vostro lavoro segua una sorta di escalation mirata a scuotere dal torpore chi da troppo tempo dorme sonni tranquilli. Un impegno che ha avuto come unico effetto, in chi detiene il potere, quello di scatenarsi alla ricerca ossessiva di talpe da punire, senza che sorgesse alcun interrogativo di ordine più profondo — che, ne siamo convinti, era invece la vera finalità del vostro agire.

È davvero così: i nostri vicari, il vescovo, la nostra Chiesa, sembrano comportarsi come chi ha una malattia, invece di preoccuparsi di trovare un medico e una cura, preferisce colpire chi ha avuto l’ardire di formulare la diagnosi, o peggio ancora chi ha osato rivelare la malattia e porli di fronte al problema.

Più volte ci siamo domandati per quale ragione Silere non possum susciti tanto fastidio, mentre se ad alzare la voce sono blog di “pazze represse” che si indignano perché il vescovo prende un caffè con una “vescovessa”, nessuno sembra turbarsi. La risposta, come voi stessi avete scritto, è che Silere non possum va al centro della ferita e non teme di “scavicchiare”, di mettere le dita proprio lì dove brucia.

Abbiamo colto, talvolta, un senso di insofferenza anche da parte vostra di fronte alle reazioni scomposte, ma vi esortiamo a non arretrare. Purtroppo, da un ambiente chiuso non ci si può attendere altro che una chiusura ancora più asfittica, tesa a proteggersi da ogni critica, dimenticando che l’unica possibilità di guarigione passa per l’apertura alla verità. In Curia, intanto, si consuma la caccia alla “talpa” — termine utilizzato con zelo anche da quei giornalai che vivono di briciole lasciate cadere dai prelati di turno, in attesa di qualche segno di riconoscenza. Ma com’è possibile? Si tratta, peraltro, di quei personaggi che sono sempre alla ricerca spasmodica della notizia da acquistare e sputano veleno sui preti che vengono accusati di qualunque crimine. Se colpisci il clero, però, il vescovo ti benedice, l’importante è non colpire lui. Se le informazioni vengono offerte a loro, si celebrano come “scoop”; se invece a pubblicarle è Silere non possum, che arriva persino ad anticipare le nomine pontificie, allora si grida allo scandalo e si invoca la caccia alla talpa?

Qualcuno si stupisce; eppure è l’atteggiamento tipico di un corpo malato — come avete ben messo in luce — quello di mistificare la realtà, deformare l’informazione e difendere a ogni costo sé stesso. È la stessa dinamica che osserviamo nella stampa laica: se un’iniziativa viene dalla destra, è subito bollata con termini sprezzanti volti a denigrare e delegittimare; se proviene dalla sinistra, diventa invece un fatto ovvio, raccontato come del tutto naturale. Se sei amico del potere, va bene. Sennò mangi cicoria.

E allora ci si chiede: com’è possibile che un’intera Curia cada in crisi per le pubblicazioni di un sito che, oltre a rivelare in anteprima persino il titolo di una enciclica papale, osa riportare notizie relative a una diocesi periferica? La sensazione che noi sacerdoti abbiamo è chiara: chi lavora a Silere non possum parla con tutti; il nostro vescovo, invece, no. I nostri vicari, invece, no. È evidente che quando si ha il coraggio di dialogare con tutti, si possiede anche una visione d’insieme, si riesce a cogliere ciò che realmente il presbiterio pensa, vive e mormora. Ci soffermiamo su questo, perché è la nostra famiglia, ma non possiamo evidenziare come il malcontento serpeggia forte anche tra i laici. Siamo rimasti sbigottiti di fronte alla conferenza stampa che il vescovo ha convocato e che, con sorprendente ingenuità, ha voluto persino trasmettere in streaming, convinto che ciò potesse migliorare la situazione. Sì, certo… La percezione che ne abbiamo avuto è stata piuttosto quella di un grottesco gioco delle sedie. Del resto, sui nostri telefoni circola ancora il video del vescovo che balla al Giubileo degli Scout: mancavano soltanto i vicari e si sarebbe potuto dire, senza tema di smentita, che le nomine erano state decise lì, tra un passo di danza e l’altro.

Le sedie, in effetti, si sono scambiate; qualcuno è saltato, come era ovvio, ma nella sostanza nulla è cambiato. Anzi, ora ci ritroviamo promossi persino i grandi ideologi che filtrano la Chiesa attraverso le lenti del potere, parlando ipocritamente di “sinodalità”. Il nuovo Provicario Tartari è uno di quelli che liquida chiunque non la pensi come lui con l’etichetta di “demonio”. Non si tratta, sia chiaro, di autentica fede nel diavolo: quel nome non viene mai pronunciato quando egli è davvero all’opera, ossia quando alimenta la smania di potere o l’abilità di colpire i propri fratelli.

È piuttosto un espediente comodo, una spiritualizzazione di circostanza, utile soltanto a screditare e a ridurre al silenzio chi osa dire la verità. Così ogni dissenso diventa “demonio”, ogni critica “divisione”, ogni voce scomoda “male oscuro”. Non dimentichiamo, infatti, che lo stesso vicario per la pastorale e i laici si lanciò tempo fa in una furiosa invettiva contro “anonimi” (sic!), solo perché avevate avuto il coraggio di riferire che nel Sinodo della Chiesa italiana non regnava affatto la serenità. E puntualmente, i fatti dimostrarono che avevate ragione. Ed eccoci qui, a fine ottobre, pronti a risalire ancora una volta sulla stessa giostra del “sinodino”.  Ciò che scandalizza noi sacerdoti, più di ogni altra cosa, è proprio questo modo di demonizzare chiunque osi parlare. È il solito gioco dei “detentori del potere”: delegittimare dicendo che “sono anonimi”. Peccato che di anonimo non vi sia nulla di diverso rispetto a tanti altri giornali: il direttore è persona ben nota (e fin troppo conosciuta!), mentre chi scrive si limita a siglarsi per non essere pubblicamente messo alla gogna da quelle stesse mani che gridano allo scandalo.

Il clima è quello della Gestapo: l’unico obiettivo è individuare i nomi per poterli colpire direttamente. Eppure, non si accorgono che tra noi preti vi è un consenso unanime nell’analisi proposta. Le nomine, del resto, non sono state rese pubbliche per caso: erano già note a molti di noi, pur senza incarichi di Curia, perché realmente dediti al servizio del popolo di Dio, e non a collezionare passerelle nei corridoi di Via Trieste, dove ci si agita tra “urgentissime incombenze”, o a pontificare invano nelle consuete conferenze autoreferenziali. Ma la logica della Chiesa la conosciamo bene: se la notizia rimane riservata a pochi, allora quei pochi acquisiscono potere. E guai a sottrarglielo. Silere non possum che cosa fa? Semplice: pubblica. Lo abbiamo visto più volte. E così cade il castello di sabbia: tutti sanno, e nessuno può più vantare un privilegio informativo da spendere come moneta di potere. Quanti sono i ragazzini accolti nelle case da anziani monsignori sprovveduti, che agiscono con leggerezza e imprudenza? Quanti i repressi, allontanati dai monasteri, che passano le giornate a sparlare dei sacerdoti? E quanti ancora quei personaggi espulsi da vari seminari d’Italia e poi approdati nelle abbazie, dove anziché vivere la vita monastica si aggirano per i social network a sparare veleno, lamentando dolore e scandalo solo perché è stato toccato il loro amicus curiae?

“Ah, io so, perché conosco persone importanti” — così si vantano. O ancora quei ragazzi cacciati da seminari e monasteri che finiscono per costruirsi un piccolo harem, riproducendo le stesse dinamiche malate da cui erano stati allontanati. Silere non possum infrange questi schemi, sottrae terreno a logiche di potere, ed è per questo che qualcuno perde la testa. Ma ben venga! Se trovate chi vi attacca, sappiate che lo fa perché è parte integrante del problema. [...]

Sui nostri cellulari circola insistentemente il commento del nostro “amato” confratello Fabio Corazzina. Soprattutto con la vostra azzeccata risposta! Sì, lo definiamo confratello, pur sapendo di non ottenere il vostro plauso. Ma perché mai questo “prete” si dice così scandalizzato per ciò che Silere non possum ha pubblicato? Stiamo parlando di quattro nomine non del Sacro Graal! Due semplici riflessioni. Primo: se non vuoi leggere, non leggi. Eppure, i grandi esperti dei centri sociali finiscono per comportarsi come le più zelanti signore da sagrestia (voi le chiamereste senza esitazione megere): quando c’è da sparlare, chiacchierare, non si tirano certo indietro. Secondo: se don Corazzina facesse davvero il prete, si accorgerebbe del malcontento che serpeggia nella diocesi. Ma è chiaro che, se invece preferisce inseguire incarichi utili ad avallare le sue inclinazioni, salvo poi piagnucolare quando i superiori gli rispondono “picche”, per riversare infine tutto sulla politica e sui centri sociali trasformandosi in una sorta di Landini mancato, allora non c’è da stupirsi che non colga le vere preoccupazioni del presbiterio. Provasse a vivere davvero il ministero sacerdotale: forse allora se ne renderebbe conto. Cari amici di Silere non possum, non c’è da stupirsi se nel nostro presbiterio e nelle stanze dei bottoni, oggi, molti si preoccupano più del “chi”, del “come” e del “quando” sia trapelata una notizia, piuttosto che del suo “perché”. Eppure, a noi nelle periferie quelle stesse notizie erano già giunte dalle medesime bocche che ora fingono scandalo.

La questione è lampante: non ci si scandalizza del fatto che certe verità circolino fra di noi; ci si scandalizza soltanto quando esse finiscono pubblicamente nero su bianco. Perché? Perché si sa bene quale credibilità vi siete costruiti. Si sa che non pubblicate nulla senza averne certezza. E soprattutto, vi è un aspetto psicologico decisivo: finché le cose si trasmettono oralmente, possono sempre essere smentite o liquidate come “chiacchiericcio”; ma quando trovano forma scritta, nero su bianco, su un portale di informazione letto ormai ovunque — e ce ne rendiamo conto sempre di più!!! — allora diventano inconfutabili. E in quel momento, tutto si fa più difficile. Difficile perché non si può più intervenire. Lo ha ammesso senza giri di parole un vicario, pochi giorni fa visitando le nostre parrocchie: «Beh, fosse stato il Giornale di Brescia si interveniva, ma con Silere non possum come fai?»

Talvolta ci domandiamo se questi giornalisti non provino un minimo di vergogna, sapendo quale sia la reale considerazione che si ha di loro. E ci chiediamo persino se qualcuno abbia ancora compreso che cosa significhi davvero fare giornalismo. Ma non c’è da meravigliarsi: sono le dinamiche tipiche del potere, le stesse che vengono stigmatizzate quando a esercitarle sono i politici, e che tuttavia trovano puntuale replica anche in certi ambienti ecclesiastici. Il vero dramma, però, è un altro: nessuno di questi uomini — prima ancora che presbiteri — si interroga sulle questioni essenziali. “Perché il clero è scontento?”, “Perché non vuole questi vicari?”, “Perché si sente inascoltato?”. Domande elementari, eppure mai poste. E dovrebbe essere anzitutto il Vescovo a formularle, proprio quel Vescovo che nella sua comunicazione ufficiale ha tenuto a dichiarare: «Ringrazio anche gli organi di stampa qui convenuti, che permetteranno a tutti di conoscere dalla mia diretta voce quanto intendo riferire. Considero la comunicazione estremamente importante e apprezzo che essa avvenga in modo corretto e rispettoso».

Ci siamo chiesti: «Eccellenza, che cosa vi sarebbe di irrispettoso nella comunicazione di Silere non possum?» Forse la chiosa in cui si afferma che noi sacerdoti siamo scontenti? Forse bisogna ricordare al Vescovo e ai suoi collaboratori che dire la verità non equivale a essere irrispettosi o scorretti. Può certamente risultare scomodo, perché incrina programmi già scritti, ma in che cosa consisterebbe la mancanza di rispetto? Una Chiesa che si interroga continuamente su come comunicare non può ridurre a “da condannare” tutto ciò che non le aggrada. Altrimenti finiamo per scivolare in una caricatura peggiore di quella narrata da Umberto Eco ne Il nome della Rosa: «Guai a toccare quel sito, non aprite quelle pagine, ché ne morirete». Così pare di sentir dire da chi viene toccato dalla verità di quelle parole.

Ed è in questo clima che ci ritroviamo vicari — oggi persino promossi — impegnati a delegittimare e ridimensionare chi, come Silere non possum, osa dar voce a gran parte del clero, e non a “poche critiche isolate”. Parole utili solo a rassicurare il nostro confratello ideologo che, pur evitando accuratamente di vestirsi da prete, è stato nondimeno scelto per offrire al clero la sua catechesi, intrisa più di ideologia che di Vangelo, nel corso del convegno.

Il Vescovo ha dichiarato: «Mi preme sottolineare che le motivazioni delle decisioni che mi appresto a comunicare sono quelle che io stesso illustrerò». Ma solo un uomo vissuto perlopiù ovattato tra libri e aule scolastiche può pensare che noi sacerdoti siamo tanto ingenui da non comprendere che quella tensione che gli ribolliva dentro e quelle parole irrigidite erano il frutto dell’ardire di Silere non possum: osare affrontare, nientemeno, “il Vescovo”! Viviamo in un’istituzione in cui, quando ti cacciano dalla Curia romana, dicono di “aver accettato le tue dimissioni”; e quando vogliono farti fuori, ti liquidano con un «grazie, sei stato prezioso in questi anni». E davvero il Vescovo crede che non siamo in grado di collegare i fatti? Certo, si tratta della goccia che ha fatto traboccare il vaso ma da quanto tempo noi preti — molto prima che voi rivolgeste la vostra attenzione alla diocesi — abbiamo ripetuto che il Vicario Generale non era affatto adatto a quel ruolo?

La vicenda Castiglia non è stata altro che la goccia: e il comportamento del Vicario in questa occasione è risultato rivelatore. La denigrazione di chi osava dire la verità, gli insulti rivolti a Silere non possum, i messaggi che lo stesso Castiglia ha iniziato a inviare a tutti i preti della diocesi che hanno avuto la sventura di incrociarlo e poi prenderne le distanze…Noi stessi ne abbiamo ricevuti diversi da un numero diverso da quello che aveva in passato in quanto lo avevamo bloccato.  Ma tutto questo non è stato che la conferma di una dinamica che da anni si ripete. Per questo, ancora una volta vi diciamo: state sereni. Tutto ciò non fa che attestare quanto prezioso sia il vostro lavoro. In fondo non occorre difendersi quando i fatti stessi finiscono col darvi ragione. Se fra di noi qualcuno nutriva ancora dubbi, oggi è chiaro: chi vi attacca lo fa perché è parte del problema.

Corazzina? Come potrebbe elogiarvi, se avete messo a nudo la sua inadeguatezza con un articolo che mostrava, con limpida evidenza, l’inopportunità delle sue invettive su Facebook? Pensate davvero che le false, zuccherose parole di certi ambienti corrispondano a ciò che si pensa davvero? No, perché il gioco è sempre lo stesso: ti si dice “A”, ma si sottintende “B”. Perché da tempo c’è chi si scaglia contro “chi non è virile” ma a qualcuno mancano i tratti essenziali della virilità.

L’unico obiettivo resta colpire chi dev’essere colpito: sia perché osa mettere a nudo le nostre criticità, sia perché lo si percepisce come minaccia. Perché, sì, le criticità esistono, e il terrore è che vengano esposte alla luce del sole.

Cari amici, concludiamo ringraziandovi, ma vi invitiamo a non nutrire grandi aspettative. Le sedie sono state spostate, ma tutti sono rimasti al loro posto: salta uno, entra un altro, senza che nulla cambi davvero. Gli interrogativi seri, purtroppo, né il Vescovo né i suoi collaboratori se li porranno mai. Perché? Perché noi preti restiamo senza voce, mentre in Curia continua a imperare chi fa e disfa a proprio piacimento: sacerdoti, ma anche laici, che collocano amici e parenti appena salta la suora di turno e vengono lautamente retribuiti. Per fare cosa? Per sistemarsi ai danni di preti e parrocchie. Perfino il riferimento rivolto a noi preti dal Vescovo ha avuto un retrogusto amaro: «Colgo l’occasione per manifestare a tutto il clero diocesano che ci ascolta in streaming, in particolare, il mio affetto, la mia stima, la mia riconoscenza per il ministero generoso che state svolgendo in questo tempo di profonde trasformazioni. Sentiamoci tutti uniti e camminiamo insieme sulla strada che lo Spirito apre davanti a noi».

In sostanza, poiché Silere non possum ha avuto l’audacia di evidenziare il malcontento del clero, il Vescovo ha pensato bene di risponderci con una carezza: “siete bravi”. E, come ciliegina sulla torta, il richiamo all’unità: “gli altri ci vogliono divisi”, “c’è chi tenta di dividerci”. Chiamiamo fratelli anche i musulmani, ma se qualche confratello ci dice qualcosa diventa nemico. Ma l’unità non è uniformità. Chi ci costringe a guardare una ferita purulenta non vuole dividerci: vuole semplicemente che si faccia verità, che ciascuno ammetta le proprie responsabilità. Questa è la sinodalità: non le vacue e rassicuranti formule delle lettere pastorali.

Alcuni sacerdoti addolorati
Brescia