Fulda – Si è conclusa a Fulda, il 25 settembre 2025, l’assemblea autunnale della Conferenza Episcopale Tedesca, iniziata il 22 settembre presso il Maritim Hotel accanto al Schlossgarten. Ai lavori hanno preso parte 58 membri della Conferenza, guidati dal presidente, il vescovo Georg Bätzing.
Diversi i temi affrontati: dall’approfondimento dei risultati della 6ª indagine sulla partecipazione alla vita ecclesiale, esaminati in chiave fondamentale e pastorale per individuare nuove linee d’azione per la Chiesa cattolica, alla gestione e chiarificazione dei casi di abuso sessuale, fino al punto sullo sviluppo del Cammino sinodale in Germania. In agenda anche questioni di respiro internazionale e storico: la situazione in Medio Oriente, il bilancio dell’approccio pastorale durante la pandemia da Covid-19, i rapporti della Chiesa con i Sinti e i Rom nel periodo del nazionalsocialismo. I vescovi hanno inoltre discusso una dichiarazione sul servizio militare e civile volontario e approvato un testo relativo alla guerra a Gaza. Alla sessione inaugurale di lunedì 22 settembre era presente il nunzio apostolico, arcivescovo Nikola Eterović, insieme al vescovo ausiliare Krzysztof Zadarko, amministratore diocesano di Koszalin-Kołobrzeg, delegato della Conferenza Episcopale Polacca per l’immigrazione e presidente del Consiglio episcopale per migrazione, turismo e pellegrinaggio.
Fiducia supplicans: ambiguità e domande inevase
Al centro del confronto con i giornalisti, come spesso accade, hanno trovato spazio soprattutto le questioni più divisive e controverse. L’attenzione si è concentrata su Fiducia Supplicans, sul documento adottato dalla Conferenza Episcopale Tedesca “Segen gibt der Liebe Kraft – Segnungen für Paare, die sich lieben. Handreichung für Seelsorgerinnen”*, e sulle parole che Leone XIV ha affidato a Elise Ann Allen nel suo libro-intervista.
Il Papa aveva osservato a luglio: «Nel Nord Europa si pubblicano già rituali per benedire “le persone che si amano”. Ma ciò contraddice Fiducia Supplicans, che afferma: le persone possono essere benedette, ma non si devono ritualizzareforme particolari, perché non corrispondono all’insegnamento della Chiesa. Non significa che quelle persone siano cattive: è importante accogliere e rispettare chi compie scelte di vita differenti. So che il tema è controverso e che ci saranno richieste come il riconoscimento del matrimonio omosessuale o delle persone trans, ma l’insegnamento della Chiesa rimane invariato. Gli individui saranno sempre accolti».
Parole che sono apparse subito come una stoccata alla Conferenza Episcopale Tedesca, che da anni ha fatto di questi temi civili e sociali il proprio principale campo di battaglia. I vescovi tedeschi sanno bene che, senza sposare certe istanze, prima o poi si troveranno costretti a dover battere cassa: in Germania, infatti, il clero è sostenuto direttamente dai contributi dei fedeli cattolici, sempre meno e in costante calo. Il documento della DBK, pubblicato nell’aprile 2025: Segen gibt der Liebe Kraft – Segnungen für Paare, die sich lieben. Handreichung für Seelsorgerinnen*. In esso si legge: «La Chiesa prende sul serio il desiderio delle coppie di vivere sotto la benedizione di Dio e incoraggia questa speranza. La comunità è invitata a partecipare con preghiere, canti e acclamazioni».
Un’affermazione che appare in netto contrasto con quanto stabilito da Fiducia Supplicans. La dichiarazione, infatti, ribadisce la dottrina tradizionale sul matrimonio, escludendo qualsiasi forma di rito liturgico o di benedizione che possa essere assimilata a un rito, per evitare confusione con il sacramento. Allo stesso tempo, apre alla possibilità di semplici benedizioni per coppie in situazioni irregolari o per coppie dello stesso sesso, purché queste non assumano carattere rituale o ufficiale. Il documento precisa che tali benedizioni devono essere vissute come una supplica a Dio, un’invocazione dello Spirito Santo sulle persone che, riconoscendosi fragili, non cercano di legittimare un proprio status ma domandano che il bene presente nelle loro vite sia accolto e purificato. Si tratta, dunque, di benedizioni spontanee, non previste dai libri liturgici, che non possono mai essere celebrate in concomitanza con riti civili o con gesti e parole proprie del matrimonio, ma che possono trovare posto in contesti semplici e popolari: una visita a un santuario, un incontro con un sacerdote, un pellegrinaggio.
L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato evitare ogni equivoco con il matrimonio sacramentale, dall’altro non impedire alla Chiesa di offrire un segno di vicinanza a chi chiede l’aiuto di Dio. Per questo Fiducia Supplicans invita i ministri ordinati ad esercitare un discernimento prudente e paterno, senza attendersi ulteriori norme pratiche. Un’impostazione, questa, che non è stata accolta positivamente neppure della Conferenza Episcopale Tedesca (Segen gibt der Liebe Kraft), la quale introduce una prospettiva molto più aperta e comunitaria, incoraggiando le coppie a vivere la loro relazione sotto la benedizione di Dio e coinvolgendo l’assemblea con preghiere, canti e acclamazioni: un’impostazione che rischia di assumere, nei fatti, la forma di un vero e proprio rito comunitario, esattamente ciò che Fiducia Supplicans mette in guardia dal promuovere. Nella conferenza stampa del 25 settembre, Georg Bätzing ha precisato: «In Italia le mie parole sono state riportate in modo sintetico, come se fossero in contraddizione con il Papa. Non è così: il Papa ha confermato Fiducia Supplicans. Noi adottiamo un approccio moderato, senza riti o formule, lasciando libertà ai pastori». Tuttavia, resta evidente che il documento vaticano esclude forme assimilabili a benedizioni nuziali.
La disobbedienza a senso unico
Bätzing ha sollevato anche un altro interrogativo degno di nota: «Perché accusare noi di disobbedienza e non chi rifiuta completamente Fiducia Supplicans?» Entrambe le posizioni, in effetti, sono scorrette: quella di certi vescovi africani, ad esempio, è fondata su pregiudizi culturali e dunque inaccettabile. L’obbedienza dovrebbe essere uguale per tutti, ma Roma stessa ha lasciato intendere che in alcuni Paesi il documento possa valere e in altri no. Ne risulta il rischio di una Chiesa che procede in ordine sparso.
Il vero dramma, però, è che di questo documento non sentiva il bisogno nessuno. Non gli omosessuali, che difficilmente trovano senso in una benedizione proposta da una Chiesa che sembra dire: “Sì, ti benedico, ma in segreto, purché nessuno lo sappia, altrimenti diamo scandalo. Per pochi secondi, veloce, veloce”. Un atteggiamento ipocrita che non fa altro che alimentare quel sistema malato, già radicato in tante sagrestie, dove tutto è possibile a patto che resti nascosto, e dove si continua a trasmettere l’idea che chi è “omosessuale” deve tacerlo e pensare di essere sbagliato. È l’immagine dell’omosessuale “non strutturale”, direbbe il grande esperto della psiche Cencini, segnato dall’irrisolutezza e dalla non accettazione di sé.
Non ne avvertono il bisogno neppure i pastori, che non si trovano di fronte a folle in attesa di queste benedizioni. Per la gente, infatti, la vera benedizione di Dio si sperimenta quando si sentono accolti per ciò che sono, quando incontrano un sacerdote che diventa amico e accompagna in un cammino di fede o in un percorso di direzione spirituale, senza fissarsi sugli orientamenti o le identità sessuali. Quella relazione, di per sé, è già una benedizione.
E non lo chiedevano neppure quanti oggi si stracciano le vesti gridando allo scandalo, popolando i loro psicoblog di volgarità e di discorsi ossessivi su sesso e omosessualità. Spesso sono gli stessi che si ergono a paladini della tradizione e dei cosiddetti “valori tradizionali”, arrivando perfino a condurre campagne ad hominem, frugando nella vita privata di chi lavora in realtà vaticane e sostenendo che gli omosessuali non hanno un diritto assoluto al lavoro. Roba che non si sente neppure nei regimi totalitari islamici. Pura follia.
Eppure, come spesso accade, dietro queste crociate si nascondono vite segnate da una profonda contraddizione: c’è chi convive con uomini pur continuando a sbandierare la tradizione, chi è sposato con uomini ma non rinuncia a impartire lezioni di morale e valori tradizionali, chi ha moglie e figli ma porta avanti relazioni parallele e segrete con altri uomini. E c’è, infine, il caso più squallido: quello di certi viscidi sessantenni che rivolgono attenzioni indebite a giovani curati, lasciandoli sospesi tra la nausea e la tentazione di sbatterli fuori dalla sagrestia a calci nel di dietro.
La vera domanda, allora, è un’altra: perché adottare Fiducia Supplicans senza prima una consultazione ampia e condivisa? Roma ha il dovere di tenere unita la Chiesa, a Nord come a Sud, non di dividerla con documenti che finiscono inevitabilmente strumentalizzati da gruppi ideologizzati. Gruppi che arrivano persino a fondare comunità il cui unico “carisma” condiviso sembra essere l’“amore per la Nutella”. A questo livello non siamo solo di fronte a un problema ecclesiale, ma a qualcosa che oscilla tra la blasfemia e il ridicolo. Personaggi spesso reduci da esperienze seminariali negative, che cercano di indossare abiti religiosi pur non avendone alcun diritto, convinti che l’abito conferisca loro quell’autorità e quell’identità che in realtà andrebbero costruite altrove.
In questo quadro, Fiducia Supplicans si rivela non uno strumento di discernimento, ma un pretesto: serve a distrarre la Chiesa da ciò che davvero conta, ad alimentare divisioni e a concentrare l’attenzione su sciocchezze, che i media e la politica finiscono puntualmente per utilizzare come leva di pressione sul Corpo mistico di Cristo.
Fernandez ha approvato il documento tedesco?
Resta, infine, il nodo della trasparenza. Mons. Bätzing ha ribadito più volte in conferenza stampa che il documento sarebbe stato discusso con l’Ex Sant’Uffizio. Dal Dicastero per la Dottrina della Fede, però, filtra un’altra versione: non risulterebbero approvazioni né interlocuzioni formali. Incalzato dai giornalisti, il portavoce della DBK, Matthias Kopp, si è limitato a tagliare corto: «Non diamo conto di documenti o telefonate tra la Curia e i vescovi». Eppure, qui non si tratta di pettegolezzi o di indiscrezioni riservate: i fedeli e il clero hanno il diritto di sapere se il Dicastero abbia davvero avallato il testo. Non è forse paradossale che proprio la Chiesa tedesca, che ha fatto della trasparenza e della condivisione la bandiera del suo cammino sinodale, oggi si rifugi dietro l’argomento della riservatezza?
La questione è cruciale, anzitutto, perché il Dicastero per la Dottrina della Fede deve procedere in sintonia con la volontà del Papa regnante, non di quello defunto. E vi è anche un paradosso: nello stesso Sant’Uffizio risiede ancora, fisicamente, Leone XIV, in attesa dell’Appartamento pontificio. Per questo non servono ambiguità né mezze parole, ma una sola cosa: chiarezza e trasparenza. Sulla coerenza, invece, non ci facciamo troppe aspettative…
p.W.R. e F.B.
Silere non possum