I vescovi italiani sono riuniti ad Assisi per la 81ª Assemblea generale della CEI. Domani, 20 novembre 2025, incontreranno il Santo Padre Leone XIV, con il quale avranno un colloquio a porte chiuse. In queste ore i presuli stanno esaminando l’approvazione del documento “L’insegnamento della religione cattolica: laboratorio di cultura e dialogo” e la presentazione dei testi “Educare alla pace”.
Dopo l’approvazione del Documento di sintesi da parte della terza Assemblea sinodale, l’Assemblea generale è ora chiamata a valutare priorità, delibere e note elaborate a partire dal testo approvato. Le indicazioni emerse contribuiranno a definire le prospettive pastorali dei prossimi anni, che saranno oggetto di discussione nella successiva Assemblea generale di maggio 2026. L’Arcivescovo di Torino, Card. Roberto Repole, non ha usato formule di circostanza: ha parlato di una Chiesa che non può più dare nulla per scontato, a partire dal cuore stesso della sua missione.
Repole ha riconosciuto “la complessità del tempo che stiamo vivendo”. Ha evocato una “responsabilità condivisa” e ha chiesto che i lavori dell’Assemblea ripartano “con la schiettezza che ha caratterizzato i lavori del Cammino sinodale”. Da questa premessa, è entrato nel nodo centrale: la trasmissione della fede e la distanza crescente tra Vangelo, stili di vita e cultura contemporanea.
La frattura tra Vangelo e vita quotidiana
L’Arcivescovo ha ricordato che nelle oltre cento mozioni emerse durante il Cammino sinodale è apparsa con forza la percezione di una divaricazione radicale: «la società civile non fa più normalmente riferimento al Vangelo nel suo vivere quotidiano». Il cardinale ha chiesto ai vescovi di non eludere questo punto: si tratta della radice di tutte le altre questioni. Di qui la domanda decisiva: la Chiesa italiana è consapevole che la fede oggi “non è più un processo normale, che si possa dare per scontato”? La perdita dell’“ovvietà” della fede deve permeare ogni scelta pastorale, perché il contesto culturale non facilita più alcuna trasmissione spontanea.
La crisi delle risorse — prima di tutto umane
Il porporato ha osservato che i nodi problematici emersi nel Cammino sinodale manifestano “la sensazione di una crescente scarsità di risorse di cui dispongono le nostre Chiese, a cominciare dalle risorse umane”. Non si tratta soltanto di denaro, ma soprattutto di persone: operatori pastorali, presbiteri, laici formati, educatori. Questa consapevolezza diventa la premessa del suo percorso in sei punti.

Sei priorità secondo l’Arcivescovo di Torino
1. La trasmissione della fede: non più per inerzia
La prima priorità riguarda la dinamica stessa della fede. Repole parla di “mancanza permanente del nutrimento proprio di Dio”, della rarefazione dei luoghi e delle figure capaci di testimoniare il Vangelo in modo credibile. Il dato da cui ripartire è che l’eredità cristiana non si trasmette più “per osmosi culturale”: occorre ripensare i percorsi, la formazione, la presenza viva delle comunità.
2. La dimensione sociale e caritativa della fede
La seconda priorità, strettamente connessa alla prima, riguarda l’impegno sociale delle diocesi. Il cardinale sottolinea l’urgenza di riconoscere nelle povertà materiali, nelle ferite relazionali, nella solitudine, i luoghi in cui “la presenza del Regno di Dio va intercettata”, come affermato dal Documento di sintesi del Cammino sinodale.
3. Il nodo dei ministeri: corresponsabilità reale, non dichiarata
Il terzo punto affronta la questione ministeriale. L'Arcivescovo evidenzia una tensione irrisolta: da un lato si ripete la necessità della corresponsabilità, dall’altro si osserva “l’uscita di una forma ecclesiale che veicola l’immagine che solo il presbitero o il diacono siano i ministri ordinati”. Si domanda se la Chiesa italiana sia disposta a verificare se i laici siano davvero messi nelle condizioni di esercitare ciò che il Concilio riconosce loro: spazi reali, formazione adeguata, ruoli definiti.
4. Le strutture intermedie: diocesi, metropolie, regioni ecclesiastiche
Una quarta priorità riguarda il modo in cui le diocesi interagiscono con le regioni ecclesiastiche e le metropolie. Il presule chiede di “favorire una sinergia”, evitando duplicazioni e sovrastrutture che consumano energie. È necessario «distinguere ciò che è centrale e ciò che è davvero priorità».
5. La riconfigurazione dei territori ecclesiali
Il quinto punto tocca il tema più delicato: la possibile ridefinizione delle diocesi italiane. Repole cita il Documento di sintesi (n. 68): dove necessario, si deve intervenire. Non è una questione organizzativa ma evangelica: dove le strutture non sono più sostenibili, la missione si indebolisce.
6. Il rischio di una Chiesa che funziona senza testimoniare
La sesta priorità è quella più autocritica. L'Arcivescovo di Torino ammonisce contro il pericolo di trasformare il lavoro pastorale in un esercizio amministrativo. L’efficienza può divorare l’evangelizzazione: “se avvertiamo ovunque la necessità di strutture nuove, ciò non deve distoglierci dall’urgenza di trasmettere il Vangelo”. La trasparenza amministrativa, necessaria, non può diventare la cifra identitaria della Chiesa, né sostituire l’annuncio.
Una Chiesa chiamata a scegliere
Il cardinale ha sintetizzato la sfida così: dobbiamo “immaginare nodi nuovi e diversi”, con lucidità, evitando “cambiamenti che assumano una parvenza di efficienza ma che distolgano l’attenzione dal cuore dell’esperienza cristiana”. È il richiamo più forte: evitare una Chiesa impegnata ma stanca, funzionale ma senza slancio, presente ma non evangelizzante. L’obiettivo non è amministrare la sopravvivenza, ma tornare a testimoniare il Vangelo in un contesto che non lo riconosce più spontaneamente.
d.L.M.
Silere non possum