Città del Vaticano - Nel volo di ritorno dal Libano verso Roma, quando i giornalisti gli hanno chiesto quali viaggi stia preparando per l’anno prossimo, Leone XIV ha risposto senza esitare: spera di andare in Africa, «possibilmente in Algeria», per visitare i luoghi di sant’Agostino e «continuare il discorso di dialogo, di costruzione di ponti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano».
Non si tratta di un’intuizione estemporanea per Prevost, che ha ricordato come già da priore generale dell’Ordine di sant’Agostino avesse potuto dare il proprio contributo in questa direzione. È una scelta che si inserisce in una vicenda teologica, culturale e politica che l’Algeria ha iniziato a scrivere vent’anni fa attorno alla figura del vescovo di Ippona.
Il “caso Agostino” in Algeria
Dal 1° al 7 aprile 2001, tra Algeri e Annaba (l’antica Ippona), si è svolto il primo grande colloquio internazionale mai dedicato a sant’Agostino su suolo algerino, dal titolo “Saint Augustin: africanité et universalité” (Sant’Agostino: africanità e universalità). L’iniziativa è nata direttamente dal presidente della Repubblica Abdelaziz Bouteflika, che ha chiesto la collaborazione del ministro degli Esteri svizzero Joseph Deiss: il simposio è stato descritto dagli editori degli Atti come un evento «politico e diplomatico tanto quanto scientifico», pensato esplicitamente per contribuire al dialogo tra le civiltà.
L’Islam che “adotta” Agostino
Un dettaglio decisivo per capire perché Leone XIV parli oggi dell’ispiratore del suo ordine come “ponte” con il mondo musulmano: l’organizzazione del convegno fu affidata al Haut Conseil Islamique, l’Alto Consiglio Islamico dell’Algeria, in partenariato con l’Università di Friburgo (Svizzera) e con l’Istituto di Studi Patristici di Roma. Il presidente del colloquio, Mahmoud-Agha Bouayed, spiegò chiaramente la logica politica e religiosa di questa scelta: il presidente Bouteflika voleva mettere in luce «l’autentica immagine dell’Islam, religione di apertura e di tolleranza, di spirito universale», all’interno dell’Anno internazionale del dialogo tra le civiltà proclamato dall’ONU. In altre parole, un Paese a maggioranza musulmana al 98% si è presentato al mondo rivendicando un vescovo cristiano come parte del proprio patrimonio, facendo di Agostino un “filosofo algerino” e un “algerino universale”.

Una kermesse globale attorno a un vescovo africano
Il convegno ha riunito circa cinquanta relazioni provenienti da sedici Paesi, con studiosi di fama internazionale e specialisti delle “scienze agostiniane”. Alle giornate di Algeri e Annaba hanno partecipato 27 nazionalità, con 120 giornalisti (40 dei quali inviati da media stranieri): una sala da 800 posti «non si è svuotata in nessun momento», ha ricordato Bouayed citando il giudizio entusiasta dell’agostinista André Mandouze. Il convegno è stato accompagnato da una grande mostra archeologica e documentaria su sant’Agostino e da conferenze aperte al grande pubblico, fra cui quella - eloquentemente intitolata - su Agostino come «geniale antenato dell’Algeria».
Agostino “africano” e “universale”
Il cuore concettuale del simposio è sintetizzato in due parole chiave, scelte come assi portanti dei lavori: “africanità” e “universalità”.
Africanità
Gli editori hanno spiegato che l’obiettivo fu quello di «ricollocare Agostino nel suo contesto temporale e culturale», dentro un’Africa romana profondamente segnata dall’eredità «libico-numidia». Il titolo stesso degli Atti - Augustinus Afer, “Agostino l’Africano” - riprese un’auto-definizione del vescovo che, nella polemica contro il donatista Petiliano, scrisse di sé: «Afar sum», «sono africano». Assumere sul serio questa africanità non significa aggiungere un colore di superficie, ma riconoscere che la forma concreta del cristianesimo latino è passata attraverso uomini del Maghreb - Tertulliano, Cipriano, Agostino - che, come ricordava lo storico Henri-Irénée Marrou, sono stati «i maestri che hanno formato l’Europa».
Universalità
L’altro asse del colloquio mirava a mettere in luce l’influsso straordinario esercitato dal pensiero e dall’opera di Agostino lungo i secoli, il debito intellettuale contratto da molte correnti filosofiche e religiose dell’Occidente nei confronti del vescovo di Ippona. Bouayed è arrivato a sostenere che, raccogliendo tutti i frammenti delle sue opere, si troverebbe in Agostino «più metafisica che in tutto Platone o Ibn Rushd (Averroè)» e che la sua bibliografia editoriale, per diffusione, rivaleggia con Bibbia, Corano e Le Mille e una notte.
In questa prospettiva, diverse relazioni hanno messo in risalto Agostino come «uomo del dialogo» (Therese Fuhrer) e come «uomo della relazione umana» (Maria Grazia Mara): categorie che collocano la sua teologia entro una grammatica di incontro, di disputa e di ricerca condivisa, più che entro i confini di un’identità chiusa.

Perché un Paese musulmano fa di Agostino un simbolo
In vista di una possibile visita del Successore di Pietro in queste terre, ciò che colpisce maggiormente è il modo in cui quel convegno ha riletto la memoria nazionale algerina. Bouayed parlò esplicitamente di un Paese che, a quarant’anni dall’indipendenza e dopo un «decennio storico dantesco» di violenze, ha scelto di riappropriarsi del proprio patrimonio senza complessi, spezzando un tabù nazionale: riconoscere che l’Algeria di oggi - quasi interamente musulmana - affonda le sue radici anche in un grande vescovo cristiano, Agostino, elevato a «cittadino dell’umanità intera». Nelle intenzioni del presidente, affidare l’organizzazione del colloquio al Consiglio Islamico significava mostrare che l’Islam algerino può farsi promotore di una memoria inclusiva, capace di riconoscere un padre della Chiesa come parte della propria storia e di additarlo a esempio quando si parla di pace, concordia e riconciliazione nazionale – valori simbolizzati dal celebre mosaico di Tipasa con l’iscrizione «Pax et Concordia», scelto come emblema di quell’incontro.
Bouayed descrisse il simposio come un vero “banchetto scientifico”: uomini e donne di 27 nazioni, separati per lingua, cultura e fede, ritrovatisi in «comunione di idee e sentimenti» come figli di uno stesso ceppo, quello del patriarca Abramo, per condividere un «messaggio di alta spiritualità… di dialogo tra civiltà, culture e religioni».

I martiri di Tibhirine
Già nei primi mesi di pontificato, quando guarda con particolare attenzione alla mostra “Chiamati due volte – I martiri d’Algeria” al Meeting di Rimini, emerge quanto Leone XIV si senta legato al clima storico e spirituale di queste terre. Nel Messaggio trasmesso dal cardinale Pietro Parolin, il Papa riconosce nei martiri d’Algeria la vocazione della Chiesa ad abitare il deserto in profonda comunione con l’intera umanità, vivendo un autentico «dialogo della vita» che supera i muri di diffidenza tra religioni e culture. È proprio quella intuizione che attraversa il colloquio su “Augustinus Afer”, celebrato nel 2001, quando lo Stato algerino e il suo Haut Conseil islamique presentano l’Islam come religione di apertura, di tolleranza e di spirito universale, impegnata in un vero dialogo tra le civiltà e nella ricerca di pax et concordia con i cristiani, proprio negli anni in cui il Paese usciva dall’ondata di intolleranza e violenza. In questo orizzonte, la testimonianza dei monaci di Tibhirine, uccisi dal terrorismo del Gruppo Islamico Armato, diventa segno che, oltre alla ferita dell’estremismo, esiste un tessuto di relazioni e di fede condivisa in cui cristiani e musulmani possono riconoscersi come compagni di strada.
Un possibile viaggio per “confermare nella fede”
È su questo terreno che si colloca oggi il desiderio del Papa: un viaggio nei luoghi di Agostino non sarebbe solo un gesto di devozione verso il santo che ha segnato la sua vocazione cristiana e sacerdotale, ma la ripresa - a livello ecclesiale - di un percorso che l’Algeria, attraverso il suo Islam istituzionale, ha già avviato: valorizzare la memoria di Agostino per parlare non di scontro, ma di convergenza tra mondi religiosi diversi. In questo senso, la frase di Leone XIV sul volo di ritorno dal Libano trova il suo retroterra più concreto: Agostino come africano e universale, cristiano e al tempo stesso “algerino”, diventa la figura chiave per mettere sul tavolo non solo le questioni storiche, ma la domanda decisiva del presente: come costruire, oggi, un dialogo reale tra cristiani e musulmani a partire da una memoria condivisa.
d.P.L.
Silere non possum